Divina Commedia/Purgatorio/Canto XXVI

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Purgatorio

Canto ventiseiesimo

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Canto XXVI, dove tratta di quello medesimo girone e del purgamento de’ predetti peccati e vizi lussuriosi; dove nomina messer Guido Guinizzelli da Bologna e molti altri.


 
Mentre che si per l’orlo, uno innanzi altro,
ce n’andavamo, e spesso il buon maestro
diceami: "Guarda: giovi ch’io ti scaltro"; 3

feriami il sole in su l’omero destro,
che gia, raggiando, tutto l’occidente
mutava in bianco aspetto di cilestro; 6

e io facea con l’ombra piu rovente
parer la fiamma; e pur a tanto indizio
vidi molt’ombre, andando, poner mente. 9

Questa fu la cagion che diede inizio
loro a parlar di me; e cominciarsi
a dir: "Colui non par corpo fittizio"; 12

poi verso me, quanto potean farsi,
certi si fero, sempre con riguardo
di non uscir dove non fosser arsi. 15

"O tu che vai, non per esser piu tardo,
ma forse reverente, a li altri dopo,
rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo. 18

Ne solo a me la tua risposta e uopo;
che tutti questi n’ hanno maggior sete
che d’acqua fredda Indo o Etiopo. 21

Dinne com’e che fai di te parete
al sol, pur come tu non fossi ancora
di morte intrato dentro da la rete". 24

Si mi parlava un d’essi; e io mi fora
gia manifesto, s’io non fossi atteso
ad altra novita ch’apparve allora; 27

che per lo mezzo del cammino acceso
venne gente col viso incontro a questa,
la qual mi fece a rimirar sospeso. 30

Li veggio d’ogne parte farsi presta
ciascun’ombra e basciarsi una con una
sanza restar, contente a brieve festa; 33

cosi per entro loro schiera bruna
s’ammusa l’una con l’altra formica,
forse a spiar lor via e lor fortuna. 36

Tosto che parton l’accoglienza amica,
prima che ’l primo passo li trascorra,
sopragridar ciascuna s’affatica: 39

la nova gente: "Soddoma e Gomorra";
e l'altra: "Ne la vacca entra Pasife,
perche 'l torello a sua lussuria corra".
42

Poi, come grue ch’a le montagne Rife
volasser parte, e parte inver’ l’arene,
queste del gel, quelle del sole schife, 45

l’una gente sen va, l’altra sen vene;
e tornan, lagrimando, a’ primi canti
e al gridar che piu lor si convene; 48

e raccostansi a me, come davanti,
essi medesmi che m’avean pregato,
attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti. 51

Io, che due volte avea visto lor grato,
incominciai: "O anime sicure
d’aver, quando che sia, di pace stato, 54

non son rimase acerbe ne mature
le membra mie di la, ma son qui meco
col sangue suo e con le sue giunture. 57

Quinci su vo per non esser piu cieco;
donna e di sopra che m’acquista grazia,
per che ’l mortal per vostro mondo reco. 60

Ma se la vostra maggior voglia sazia
tosto divegna, si che ’l ciel v’alberghi
ch’e pien d’amore e piu ampio si spazia, 63

ditemi, accio ch’ancor carte ne verghi,
chi siete voi, e chi e quella turba
che se ne va di retro a’ vostri terghi". 66

Non altrimenti stupido si turba
lo montanaro, e rimirando ammuta,
quando rozzo e salvatico s’inurba, 69

che ciascun’ombra fece in sua paruta;
ma poi che furon di stupore scarche,
lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, 72

"Beato te, che de le nostre marche",
ricomincio colei che pria m’inchiese,
"per morir meglio, esperienza imbarche! 75

La gente che non vien con noi, offese
di cio per che gia Cesar, triunfando,
"Regina" contra se chiamar s’intese: 78

pero si parton "Soddoma" gridando,
rimproverando a se com’ hai udito,
e aiutan l’arsura vergognando. 81

Nostro peccato fu ermafrodito;
ma perche non servammo umana legge,
seguendo come bestie l’appetito, 84

in obbrobrio di noi, per noi si legge,
quando partinci, il nome di colei
che s’imbestio ne le ’mbestiate schegge. 87

Or sai nostri atti e di che fummo rei:
se forse a nome vuo’ saper chi semo,
tempo non e di dire, e non saprei. 90

Farotti ben di me volere scemo:
son Guido Guinizzelli, e gia mi purgo
per ben dolermi prima ch’a lo stremo". 93

Quali ne la tristizia di Ligurgo
si fer due figli a riveder la madre,
tal mi fec’io, ma non a tanto insurgo, 96

quand’io odo nomar se stesso il padre
mio e de li altri miei miglior che mai
rime d’amor usar dolci e leggiadre; 99

e sanza udire e dir pensoso andai
lunga fiata rimirando lui,
ne, per lo foco, in la piu m’appressai. 102

Poi che di riguardar pasciuto fui,
tutto m’offersi pronto al suo servigio
con l’affermar che fa credere altrui. 105

Ed elli a me: "Tu lasci tal vestigio,
per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro,
che Lete nol puo torre ne far bigio. 108

Ma se le tue parole or ver giuraro,
dimmi che e cagion per che dimostri
nel dire e nel guardar d’avermi caro". 111

E io a lui: "Li dolci detti vostri,
che, quanto durera l’uso moderno,
faranno cari ancora i loro incostri". 114

"O frate", disse, "questi ch’io ti cerno
col dito", e addito un spirto innanzi,
"fu miglior fabbro del parlar materno. 117

Versi d’amore e prose di romanzi
soverchio tutti; e lascia dir li stolti
che quel di Lemosi credon ch’avanzi. 120

A voce piu ch’al ver drizzan li volti,
e cosi ferman sua oppinione
prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. 123

Cosi fer molti antichi di Guittone ,
di grido in grido pur lui dando pregio,
fin che l’ ha vinto il ver con piu persone. 126

Or se tu hai si ampio privilegio,
che licito ti sia l’andare al chiostro
nel quale e Cristo abate del collegio, 129

falli per me un dir d’un paternostro,
quanto bisogna a noi di questo mondo,
dove poter peccar non e piu nostro". 132

Poi, forse per dar luogo altrui secondo
che presso avea, disparve per lo foco,
come per l’acqua il pesce andando al fondo. 135

Io mi fei al mostrato innanzi un poco,
e dissi ch’al suo nome il mio disire
apparecchiava grazioso loco. 138

El comincio liberamente a dire:
"Tan m’abellis vostre cortes deman,
qu’ ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. 141

Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan;
consiros vei la passada folor,
e vei jausen lo joi qu’ esper, denan. 144

Ara vos prec, per aquella valor
que vos guida al som de l’escalina,
sovenha vos a temps de ma dolor!". 147

Poi s’ascose nel foco che li affina.


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