Nella
religione romana
i
Mani
(in
latino
Dii Manes
, lett. "dei benevolenti") erano le
anime
dei
defunti
. Esse talvolta venivano identificate con le
divinita dell'oltretomba
.
Agostino di Ippona
nella sua opera
La citta di Dio
, in cui cita
Apuleio
, riporta che sono le anime dei defunti di incerta collocazione:
(
LA
)
≪Dicit quidem et animas hominum daemones esse et ex hominibus fieri lares, si boni meriti sunt; lemures, si mali, seu larvas; manes autem deos dici, si incertum est bonorum eos seu malorum esse meritorum.≫
(
IT
)
≪[Apuleio] afferma inoltre che anche l'anima umana e un demone e che gli uomini divengono
Lari
se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati dei Mani se e incerta la loro qualificazione.≫
Erano oggetto di
devozione
sia in ambito familiare che cittadino e le offerte che si indirizzavano loro erano prevalentemente di origine alimentare (vino, latte, miele, pane ecc.) segno evidente di una loro matrice prevalentemente agricola.
Due erano le feste principali nelle quali il loro culto era particolarmente sentito: i
rosaria
, durante i quali le tombe dei defunti venivano ornate con rose e viole e i
parentalia
che si celebravano ogni anno dal 13 al 21 di febbraio quando si sospendevano gli affari, i matrimoni e venivano chiusi i templi.
[2]
I sepolcri e tutto quello che contenevano erano consacrati ai Mani. Sulle urne e sugli oggetti funerari si incideva la sigla: D. M., cioe Diis Manibus (lat.): (sacri) agli Dei Mani.