NEL 2019 AVEVAMO PREVISTO che la Cina avrebbe presto rappresentato il maggior numero di aziende nella lista
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500 rispetto a qualsiasi altro Paese. All’epoca sembrava una previsione azzardata, visto che le aziende americane occupavano la prima posizione sin dall’origine della classifica, nel 1995, e che l’economia statunitense era più grande del 50% di quella cinese. Ma solo un anno dopo, nel 2020, la Cina ha effettivamente conquistato la vetta della classifica, con le sue 124 aziende che hanno superato gli Stati Uniti a quota 121 (si veda qui per i dati di
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500).
Avevamo anche previsto, però, che la posizione della Cina al vertice sarebbe stata di breve durata. L’anno scorso si è avverato anche questo: le aziende statunitensi hanno riconquistato il titolo, con 136 presenze nella
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500 contro le 135 della Cina. Naturalmente, il fatto che la Cina abbia conquistato il primo posto con tre aziende e che gli Stati Uniti l’abbiano poi riconquistato con una sola indurrebbe a pensare che stiamo assistendo a una battaglia tra le due superpotenze economiche che durerà ancora a lungo. Ma non crediamo che sia così. Sebbene la Cina stia certamente crescendo (dopo tutto ha aggiunto 11 aziende alla lista
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500 tra il 2019 e il 2023), crediamo che le probabilità siano contrarie al fatto che recuperi la sua posizione al vertice. Le ragioni di questa convinzione sono sei.
I fondamentali dell’economia statunitense sono solidi
Dall’inizio della classifica
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500, nel 1995, fino al 2020, gli Stati Uniti non solo hanno avuto più aziende nell’elenco di qualsiasi altro Paese, ma hanno anche detenuto una quota maggiore di aziende rispetto alla loro quota nell’economia mondiale. Questo dato da solo dimostra la vitalità delle imprese statunitensi.
Non ci sono segni di cambiamento: nel 2023 gli Stati Uniti non solo hanno riguadagnato il primo posto in assoluto, ma hanno anche conquistato cinque dei primi 10 posti della lista, con un aumento di tre aziende negli ultimi quattro anni. Non solo gli Stati Uniti hanno avuto più aziende nell’elenco rispetto alla Cina, ma in media le loro aziende hanno registrato un fatturato superiore del 15% rispetto alle maggiori aziende cinesi (95,8 contro 83,3 miliardi di dollari).
Inoltre, come vedremo meglio in seguito, la redditività delle aziende statunitensi presenti nella lista
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500 del 2023 è stata superiore del 114% rispetto a quella delle aziende cinesi. Inoltre, la crescita della redditività delle loro imprese ha superato quella delle imprese cinesi del 50% (27,6% di crescita per le prime contro il 18,1% per le seconde).
Giappone ed Europa hanno toccato il fondo
Praticamente tutti i guadagni della Cina (e degli Stati Uniti) negli ultimi due decenni sono avvenuti a spese del Giappone e dell’Europa. Solo negli ultimi quattro anni (un periodo che comprende il Covid e la ripresa), il Giappone ha perso 12 aziende dalla lista
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500 (da 53 a 41); la Francia ne ha perse sette (da 31 a 24), e il Regno Unito ha visto sette delle sue aziende uscire dalla lista (da 22 a 15).
È, però, improbabile che questi cali nel numero di aziende continuino. In primo luogo, le imprese giapponesi ed europee si stanno globalizzando da molti decenni e hanno diversificato i loro flussi di reddito al di fuori delle loro economie nazionali relativamente stagnanti. In secondo luogo, molte di esse sono passate dall’industria pesante ai servizi e ai vantaggi competitivi basati sulla tecnologia molto prima di molte altre imprese cinesi.
In terzo luogo, e forse l’aspetto più importante, le imprese cinesi, pur continuando a incrementare i ricavi, sono significativamente in ritardo rispetto ai loro principali concorrenti in termini di margini di profitto, come illustrato nella figura 1. Questo aspetto è importante perché un sano profitto riduce i costi di produzione; perdipiù profitti sani riducono il costo del capitale, consentendo a un’azienda di investire in nuove tecnologie, finanziare l’espansione internazionale, sviluppare e sostenere i marchi, reclutare e trattenere i talenti e così via.
La resistenza internazionale alla Cina sta crescendo
Nel 2023, Pew Research ha riferito che, nei 24 Paesi presi in esame, la valutazione mediana a sfavore della Cina era del 67%, con gli Stati Uniti che registravano un tasso dell’83%, rispetto al 35% del 2005. Queste crescenti opinioni negative possono riflettere l’aumento delle frizioni su commercio internazionale, diritti umani, proprietà intellettuale, controllo dei dati e rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale. Secondo l’ufficio doganale cinese, il saldo commerciale netto nel 2023 è diminuito di circa il 6% rispetto al 2022 – il primo calo in cinque anni. Secondo S&P Global, nella prima metà del 2023 le imprese cinesi hanno annunciato il 15% in meno di operazioni di fusione e acquisizione, per un valore inferiore del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022. Inoltre, l’Amministrazione statale cinese dei cambi ha riferito che nel terzo trimestre del 2023 la Cina ha registrato il primo risultato netto negativo degli IDE dal 1998.
La popolazione attiva cinese sta diminuendo rapidamente
Come avevamo osservato nell’articolo su HBR del 2019, da qui al 2050 la popolazione cinese in età lavorativa diminuirà di circa 200 milioni di persone a causa del calo del tasso di natalità iniziato più di 60 anni fa. Il calo della popolazione in età lavorativa può essere compensato solo dall’immigrazione. Poiché la Cina non consente praticamente alcuna immigrazione straniera, è improbabile che la sua demografia migliori. Nel nostro articolo avevamo sottolineato come un simile cambiamento demografico in Giappone, iniziato nel 1997, abbia avuto effetti negativi di ricaduta economica per decenni, e abbiamo previsto che la Cina avrebbe probabilmente incontrato difficoltà economiche simili, che avrebbero agito come un freno alla crescita delle sue imprese più grandi.
La maggior parte delle grandi imprese cinesi è di proprietà dello Stato
Collettivamente, le imprese statali (SOE) rappresentano più di un terzo dell’economia cinese e due terzi delle aziende presenti nell’elenco
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500. Alcune di queste sono di proprietà del governo cinese, in parte di proprietà nazionale, altre a livello provinciale e molte a livello municipale. In quanto tali, il Governo ne controlla la strategia, la leadership e le finanze. Storicamente, le SOE a livello globale hanno registrato performance inferiori alle imprese private (POE), e questo vale anche per la Cina. Il margine di profitto medio delle imprese di proprietà pubblica cinesi presenti nella lista
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500 è stato di appena il 3,5%.
A peggiorare le cose per le prospettive della Cina, la maggior parte delle POE, anche se non sono di proprietà dello Stato, sono comunque controllate o fortemente influenzate dallo Stato in termini di accesso al capitale, concessione di licenze e permessi, accesso alla manodopera, partecipazione a ecosistemi vitali di fornitori e acquirenti controllati dallo Stato e così via. Questa influenza non aiuta la redditività, che per queste aziende era ancora solo del 4,5%. Le SOE e quelle che noi chiamiamo State Influenced Enterprises (SIE) costituiscono praticamente tutte le più grandi aziende cinesi (figura 2), il che probabilmente impedirà loro di crescere più velocemente di quelle statunitensi, giapponesi ed europee.
L’onere del debito cinese è in aumento
Secondo il FMI, nel 2022 il debito privato cinese (comprese le imprese) in percentuale del PIL è salito al 196%, il 28% in più rispetto agli Stati Uniti. Il debito delle imprese non finanziarie in percentuale del PIL era il doppio di quello statunitense. Quasi tre quarti delle principali aziende cinesi sono direttamente di proprietà dello Stato e tutte le imprese private dipendono dalle banche statali per almeno una parte dei loro finanziamenti, che finora sono stati forniti a condizioni favorevoli.
L’aumento del debito statale rischia, però, di escludere i finanziamenti alle aziende, aumentando l’incertezza commerciale e riducendo la flessibilità strategica di cui le imprese cinesi hanno tradizionalmente goduto.
Sfruttare le debolezze della Cina
Le aziende occidentali non dovrebbero dare per scontato che in futuro i cinesi vacilleranno come e nella misura in cui lo hanno fatto le aziende giapponesi negli ultimi due decenni. Lo Stato cinese conserva la capacità e la volontà politica di sostenere le grandi imprese in modi e misure che il governo giapponese non è riuscito a usare. Tenendo conto di ciò, di seguito offriamo quattro raccomandazioni chiave per le aziende che vogliono affrontare le sfide competitive delle imprese globali cinesi che, pur essendo in difficoltà, rimarranno una minaccia significativa nei prossimi anni.
Scegliere i settori giusti
Sebbene le condizioni competitive e normative per le imprese straniere in Cina si siano un po’ inasprite, ritirarsi completamente dalla Cina potrebbe essere miope. Il mercato cinese è immenso e crescerà anche se a un ritmo più lento. Tuttavia, il panorama competitivo nazionale è disomogeneo; le imprese straniere che operano in settori mirati in cui il governo cinese vuole che le imprese locali dominino devono essere sicure di avere vantaggi competitivi forti e sostenibili rispetto ai rivali cinesi. Tuttavia, nei settori meno critici per il governo, la nostra ricerca (pubblicata in un nostro recente libro) indica che le grandi aziende straniere possono continuare a guadagnare bene.
Utilizzare il marchio “made in…”
Pochi sanno che brand diversi come AMC Theaters, GE Appliances, Smithfield Foods, The Waldorf-Astoria e Motorola Mobility sono di proprietà di aziende cinesi. Nascondere la proprietà facendo leva sul marchio locale ha aiutato le imprese cinesi a farsi strada negli Stati Uniti. Le imprese straniere potrebbero prendere spunto da questo manuale e applicarlo in Cina.
Raddoppiare l’innovazione
Alcuni dirigenti pensano che la soluzione al furto di proprietà intellettuale da parte della Cina sia quella di chiudere le porte agli investimenti. Purtroppo, la parola “proprietà” vale solo fino a un certo punto nelle battaglie odierne con la Cina. Le aziende che vogliono operare in Cina hanno maggiori probabilità di successo se semplicemente superano in termini di innovazione i loro concorrenti cinesi.
Trasformare la diversità in un vantaggio competitivo
La forza lavoro statunitense è una delle più diverse al mondo dal punto di vista culturale ed etnico. Sfruttando questa diversità, le aziende statunitensi potranno non solo promuovere l’innovazione in patria, ma anche facilitare la loro espansione nel mondo. La capacità di impiegare decisori con competenze linguistiche e culturali nei mercati esteri può essere un potente elemento di differenziazione nelle attuali e future battaglie competitive con le aziende cinesi in tutto il mercato globale.
Per essere chiari, non stiamo predicendo la scomparsa delle più grandi aziende cinesi. Ma crediamo che coloro che si aspettano che la Cina diventi il leader economico indiscusso del mondo si sbaglino. La Cina ha perso la pole position nella classifica
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500 non solo perché la sua economia ha perso slancio a causa del Covid, ma anche a causa di importanti fattori economici e sociali che erano in atto ben prima che il Covid colpisse. Per le aziende americane, europee e giapponesi esiste l’opportunità di sfruttare questi fattori per distanziare maggiormente i rivali cinesi.
Allen J. Morrison
è professore di Global Management presso la Thunderbird School of Global Management dell’Arizona State University e coautore di
Competing in and with China: Implications and Strategies for Western Business Executives
(Thinkers50).
J. Stewart Black
è professore di Leadership e strategia globale presso l’INSEAD e coautore di
Competing in and with China: Implications and Strategies for Western Business Executives
(Thinkers50).