Monarchia/Libro III/Capitolo XV

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Libro III - Capitolo XV

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Dante Alighieri - Monarchia (1312)
Traduzione dal latino di Marsilio Ficino  (1468)
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Libro III - Capitolo XIV
Che ·llo inperadore a rispetto santa mezo a Dio, prencipe dello huniverso.

Benche nel precedente capitolo, riducendo ’a inconveniente’, abiamo provato l’autorita dello ’nperio dal pontefice non dipendere, non s’e pero interamente mostro essa sanza mezo venire da Dio, se non per conseguenza. Egli e conseguente cosa che ·sse non viene dal vichario di Dio, che vengha sanza mezo da Dio. E pero [a] perfettamente dichiarare el proposito, per affermativa dimostratione proveremo che ·llo ’nperadore ha rispetto sanza mezo a Dio, prencipe dello huniverso. A ’ntendere questo, si vuole sapere che ·ssolo l’uomo, nell’ordine delle chose, tiene el mezo tra ·lle cose corruttibili et non corruttibili; sicche rettamente l’assimigliano e filosafi allo orizonte, che e el mezo de’ due emisperi. Inpero che ·ssolo [lo] huomo si considera secondo l’una et l’altra parte essentiale, c[i]oe anima et corpo: secondo el corpo e corruttibile, secondo l’anima non corruttibile. Et bene disse Aristotile di lui nel secondo Dell’Anima , secondo ch’egli e incoruttibile, in questo modo: ≪E questo solo si puo seperare, come perpetuo, da corruttibile≫. Adunque se lo huomo e in mezo tra queste due cose, et hogni mezo tiene la natura degli stremi, e necessario che lo huomo tengha dell’una et dell’altra natura. E per chagione che ogni natura a huno hultimo fine si riducie, bisognia che lo huomo si riducha a due cose, delle quali l’una sia fine dello huomo secondo ch’egli e corruttibile, l’altra fine suo secondo ch’ella e incorruttibile.

Adunque quella providenza che non puo errare propuose allo huomo due fini: l’uno la beatitudine di questa vita, che ·cconsiste nelle hoperationi della propria virtu, et pel tereste paradiso si fighura; l’altra la beatitudine di vita etterna, la quale consiste nella fruitione dello aspetto divino, a la quale la propia virtu non puo salire, se non e dal divino lume aiutata, la quale pel paradiso celestiale s’intende. A queste due beatitudini, come a diverse concluxioni, bisognia per diversi mezi venire. Inpero che alla prima noi pervegniamo secondo gli ammaestramenti filosophychi, purche quegli seghuitiamo secondo le virtu morali et intellettuali hoperando; alla seconda per gli amaestramenti spirituali, che trascendono la humana ragione, pure che quegli seghuitiamo hoperando secondo le virtu teologiche, fede, speranza et carita. Adunque queste due concrusioni et mezi, benche ci sieno mostri l’una dalla humana rag[i]one, la quale pe’ filosaphy c’e manifesta, l’altra dal Santo Spirito, el quale pe’ profeti et sagri scriptori et per lo etterno figliuolo di Dio, Yesu Cristo, et pe’ sua discepoli la virtu sopranaturale et le cose a ·nnoi necessarie ci rivelo; nientedimeno la humana cupidita le posporebbe, se gli huomini, come cavalli nella loro bestialita vaghabondi, con freno non fussino rattenuti. Honde e’ fu di bisognio allo huomo di due direzioni, secondo due fini: c[i]oe del sommo pontefice, el quale secondo le revelationi dirizassi la humana generatione alla felicita spirituale; et dello inperadore, el quale secondo gli amaestramenti filosofichi alla tenporale filicita dirizasse gli huomini. Certamente a questo porto nessuni ho pochi et dificilmente potrebono pervenire, se ·lla generatione humana, sedate et quietate l’onde della cupidita, non si riposassi libera nella tranquilla pacie; questo e quel segnio, al quale massime debba risguardare lo inperadore della terra, principe romano, accio che in questa abitatione mortale in pacie si viva. E perche la dispositione di questo mondo seghuita la dispositione delle celeste spere, e necessario a questo che gli huniversali amaestramenti della pacificha liberta comodamente a’ luoghi et a’ tenpi s’adattino, che questo terreno inperadore sia da ·ccholui spirato, el quale presentialmente vede tutta la dispositione de’ cieli. Costui e solo quello che ordino questa, accio che ·llui, per queste cose provedendo, tutte le cose co’ suoi ordini conleghassi. E ·ss’egli e cosi, solo Iddio eleggie, solo Iddio conferma, non avendo lui supperiore. Onde ancora vedere si puo che ne questi che ora si dicono, ne altri che mai si sieno detti ’elettori’, cosi si debbono chiamare, ma piu tosto ’denuntiatori della providentia divina’. Di qui aviene che spesso insieme si discordano quegli, a’ quali e data faculta d’annunziare, o perche tutti loro, o perche alcuno di loro, ottenebrati dalla nebbia della cupidita, non discernono la faccia della dispositione divina. Cosi adunque apparisce che ·lla autorita della tenporale monarchia sanza mezo alcuno inn?esso monarcha discende del Fonte della huniversale autorita: el quale Fonte, nella sommita della senplicita sua unito, in vari rivoli partiscie licore della bonta sua abondante. G[i]a mi pare assai avere toccho el proposito termino: inpero ch’egli e dichiarata la verita di quella quistione per la quale si cercava se al bene essere del mondo fusse l’uficio del monarcha necessario; et ancora di quella che cercava se ’l populo romano per ragione s’atribui lo ’nperio; similmente dell’ultima, nella quale si dimandava se ·ll’autorita del monarcha sanza mezo da Dio overo da altri dependa. La verita di questa ultima quistione non si debba cosi strettamente intendere, che ’l principe romano non sia al pontefice inn?alcuna cosa subgetto, conciosiache questa mortale felicita alla filicita inmortale sia ordinata. Cesare adunque quella riverenza husi a Piero, la quale el primogenito figliuolo husare inverso el padre debba, accio che lui, inlustrato dalla lucie della paterna gratia, con piu virtu il circulo della terra inlumini, al quale circulo e da ·ccolui solo proposto, el quale e di tutte le cose spirituali et tenporali ghovernatore.


Finis.

Finisce la Monarchia di Dante, tradotta di latino in lingua toschana da Marsilio Ficino fiorentino, a Bernardo del Nero et Antonio di Tuccio Manetti, amicissimi suoi et ciptadini fiorentini, nel mese di marzo a di XXI 1467 in Firenze.

Scripto di mano di me, Antonio di Tuccio sopradetto, tracto dello originale anchora scripto da me et dectato da detto Marsilio Fecino , homo dottissimo e filosafo platonicho.