La
stampa scandalistica
(in
inglese
yellow journalism
≪stampa gialla≫) e un tipo di
giornalismo
che rinuncia a un'impostazione obiettiva in favore di titoli sensazionalistici, allo scopo di vendere un numero maggiore di copie. Essa si caratterizza per l'esagerazione di eventi e notizie, speculazione scandalistica o altre pratiche considerate poco etiche o scarsamente professionali.
Nei paesi di
lingua inglese
questo genere si chiama
Yellow journalism
(o piu propriamente
Yellow Kid
journalism
) e riguarda perlopiu quotidiani. La tendenza, e il conseguente uso dell'espressione, si diffuse negli
Stati Uniti
tra gli ultimi anni del
XIX
e i primi del
XX secolo
.
Gli anni dello
Yellow journalism
furono caratterizzati dalla battaglia giornalistica tra il
New York World
di
Joseph Pulitzer
e il
New York Journal
di
William Randolph Hearst
. Entrambi i giornali furono accusati dai critici di sensazionalizzare le notizie per incrementare la tiratura e quindi la diffusione anche quando pubblicavano articoli seri e veritieri. La stampa di
New York
conio il termine
Yellow Kid journalism
nel
1897
(dal nome del
popolare fumetto
) per sottolineare il mercato di riferimento dei due magnati del giornalismo. Venne poi abbreviato in
Yellow journalism
.
Sebbene spesso sia associata a scandali sentimentali, la stampa scandalistica non tratta unicamente di
cronaca rosa
. Secondo Frank Luther Mott ci sono alcune caratteristiche che si possono individuare in questo genere:
[1]
- titoloni in corpo grande, spesso di notizie poco importanti;
- largo uso di immagini o di disegni;
- utilizzo di interviste false, titoli fuorvianti,
pseudoscienza
(per esempio
astrologia
), e notizie manipolate di cosiddetti "esperti del settore";
- enfasi su supplementi a colori domenicali;
- concentrazione su personaggi fuori dal cosiddetto "sistema".
Riviste
di stampa scandalistica possono essere considerate
Visto
e
Stop
. In Italia questo tipo di giornalismo e ormai diventato parte della normale rassegna stampa quotidiana, soprattutto nelle versioni online.
- ^
Frank Luther Mott,
American Journalism
(1941) p. 539
online