Briciole filosofiche

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Briciole filosofiche
Titolo originale Philosophiske Smuler eller En Smule Philosophi af Johannes Climacus udgivet af S. Kierkegaard
Copertina originale dell'opera, manoscritta in danese.
Autore Søren Kierkegaard
1ª ed. originale 1844
1ª ed. italiana 1962
Genere saggio
Sottogenere filosofia
Lingua originale danese

≪Questo progetto va indiscutibilmente oltre il pensiero socratico, e lo si vede ad ogni punto. Se, con cio, sia piu vero del pensiero socratico e tutt'altro problema che non puo essere risolto senza riprendere fiato per il fatto che e stato assunto un nuovo organo: la fede, un nuovo presupposto: la coscienza del peccato, una nuova decisione: il momento, un nuovo maestro: Dio nel tempo. Senza questi elementi, in verita, non mi sarei azzardato a presentarmi per sottopormi all'esame di quell'ironista ammirato per millenni al quale io mi avvicino col cuore che mi batte di entusiasmo, come a nessuno. Ma andare oltre Socrate, quando in sostanza si dicono le stesse cose che dice lui, soltanto meno bene di lui, questo, almeno, non e socratico≫

Briciole filosofiche , in danese Philosophiske Smuler eller En Smule Philosophi , e una delle principali opere del filosofo danese Søren Kierkegaard firmata con lo pseudonimo Johannes Climacus. Il titolo completo dell'opera in italiano e: Briciole filosofiche, cioe una filosofia in briciole (o come traducono altri autori: Briciole filosofiche ovvero Un poco di filosofia [1] ), titolo volutamente polemico contro il "sistema" idealistico della filosofia di Hegel . Come fa notare infatti il docente e filosofo italiano Umberto Regina ≪I due termini semplicemente accostati stanno a dire che se anche la quantita e poca, la qualita e tutto: e filosofia, appunto. Kierkegaard si sottrae alla logica dell'identita per valorizzare il pensiero della differenza≫. Il titolo pensato in origine da Kierkegaard doveva essere Presupposti apologetici della dogmatica, cioe approssimazioni del pensiero alla fede . Ad avviso di alcuni filosofi, l'opera si colloca fra la filosofia della verita e la teologia della salvezza [2] . Come asserisce il filosofo italiano Salvatore Spera, studioso del filosofo danese, con questa opera Kierkegaard pone l'uomo, con un'ipotesi provocatoria, ≪di fronte alla drammatica possibilita di accettare o rifiutare il mistero salvifico, la trasparenza (autopsia) della fede o la disperazione≫ [3] .

Struttura dell'opera

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L'opera, a parte una prefazione, e strutturata in cinque principali capitoli con alcuni appendici ed interludi. A chiusura dell'opera, poche righe, in cui il filosofo riassume la Morale dell'opera.

  • Prefazione
  • I. Progetto ideale
  • II. Dio come maestro e salvatore (un esperimento poetico)
  • III. Il paradosso assoluto (un capitolo metafisico)
    • Appendice: Lo scandalo del paradosso (una illusione acustica)
  • IV. La situazione del discepolo contemporaneo
    • Interludio: Il passato e piu necessario del futuro?
    • Appendice: Applicazione
  • V. Il discepolo di seconda mano

Riassunto dell'opera

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≪[...] vi prego, per deos obsecro , nessuno venga a invitarmi a ballare perche io non ballo [4]

Una prefazione, quella di Kierkegaard, molto ironica contro la filosofia di Hegel : citando [5] il Bellum Iugurthinum dello storico e politico romano Gaio Sallustio Crispo , Kierkegaard asserisce nella sua prefazione che con il saggio che si accinge a scrivere ( Briciole filosofiche ), non si mettera a servire il sistema come Sallustio. Quello che sta per scrivere infatti e soltanto ≪un saggio proprio Marte, proprio auspiciis, proprio stipendio [6] ≫, quindi libero da condizionamenti. Fra tanta gente indaffarata, lui vuole assomigliare a Diogene di Sinope che pur di far qualcosa, quando la citta di Corinto era sotto assedio, mentre altri preparavano armi e fortificavano le mura, lui agitava ≪il suo berretto avanti ed indietro per le strade≫. E cosi come a nessuno poteva mai venire in mente di considerare Diogene un salvatore o benefattore della citta, a nessuno sarebbe venuto in mente di dare al suo saggio ≪un significato universale≫ o di ritenere il suo autore (ovvero Kierkegaard stesso) nella citta di Copenaghen l'atteso sistematico Salomon Goldkab [7] .

Kierkegaard scrive: ≪la mania urlante di una superiore pazzia, il cui sinonimo e l'urlo convulso, e le parole sono: era, epoca, era ed epoca, epoca ed era, sistema [...] mentre il concetto come un giocoliere in questo tempo di fiera ogni momento deve saltare come un cane addestrato: finche non salta l'uomo [8] ≫. Ma il suo saggio, si augura il filosofo, sara ben lungi da una situazione simile, un tale ≪rumoroso fanfarone≫ non dovrebbe distogliere il suo lettore dall'osservare se nel suo saggio ci sia qualcosa di utile di cui puo servirsi. Il suo saggio non e annunciato da rulli di tamburi e ≪il suo autore e il meno di tutti incline a suonare l'allarme≫. Qual e invece la sua opinione (ovvero quella di Kierkegaard stesso) sul saggio? Nessuno la chiede lamenta il filosofo, ma e questa: Lui che e stato formato e si forma per essere sempre in grado ≪di danzare leggero al servizio del pensiero, per quanto possibile a gloria di Dio e per il mio piacere personale, rinunciando alla felicita domestica, alla rispettabilita civile, alla communio bonorum (comunione dei beni) e alla condivisione del piacere di avere un'opinione≫. Ricevera una ricompensa per questo? Kierkegaraad e certo di una cosa, se ricompensa meritera, la ricevera senza dubbio:

≪Colui il quale io servo e solvibile senz'altro, come dicono i banchieri, ma in un altro senso≫

Inoltre, vuole forse creare una "corrente di pensiero" con questo saggio? Assolutamente no! Kierkegaard spiega: ≪se qualcuno volesse essere cosi gentile da ritenere che io ho un'opinione, [...] fino ad assumere questa opinione perche mia, mi spiace per la sua cortesia, perche la rivolge ad un oggetto che non se lo merita e per la sua opinione, se non ne ha una diversa dalla mia: io posso giocare la mia vita, posso scherzare con tutta serieta con la mia vita, ma non con quella di un altro [...] non ho un insegnamento da offrire. Non ho che la mia vita e la impegno subito, ogni volta che una difficolta si presenta. Allora la danza e facile perche il pensiero della morte e un bravo ballerino; il mio ballerino, gli uomini sono per me troppo pesanti. Percio, vi prego, per deos obsecro nessuno venga ad invitarmi a ballare perche io non ballo≫

Proposizione

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  • Capitolo I - Progetto ideale

A

Un problema socratico e stato: ≪Fino a che punto si puo insegnare la verita? [...] fino a che punto si puo insegnare la virtu? Perche la virtu, a sua volta, e determinata come intelligenza (cfr. Protagora (dialogo) , Gorgia (dialogo) , Menone (dialogo) , Eutidemo (dialogo) )≫

≪Se la verita puo essere insegnata, bisogna presupporre che non esiste, e quindi se deve essere insegnata, bisogna cercarla.≫ La difficolta sulla quale lo stesso Socrate si espresse consisteva proprio in questo: ≪E impossibile che un uomo possa cercare quello che sa, e allo stesso tempo, e impossibile cercare quello che non sa; perche quello che non sa non puo cercarlo in quanto non lo sa, e quello che non sa, non puo cercarlo proprio perche non sa quello che deve cercare≫

Socrate risolve il problema con "il ricordo": ≪ogni insegnare e cercare e soltanto un ricordare≫, ad avviso dell'antico filosofo greco chi non sa deve solo risvegliare la sua memoria, per cui da solo, prende coscienza del suo sapere. La verita non viene quindi introdotta in lui, ma era gia in lui. Ad avviso di Kierkegaard, ≪Socrate era un ostetrico esaminato da Dio stesso [...] In una prospettiva socratica, tutti i punti di partenza nel tempo sono eo ipso qualcosa di accidentale, evanescente, un'occasione≫ per cui un maestro non e di piu e la sua dottrina e insegnamento non danno, piuttosto sottraggono. Nella considerazione socratica ogni uomo e centro di se stesso e il mondo intero ha in lui l'unico centro, perche la conoscenza che egli ha di se stesso e conoscenza di Dio≫. La concezione di Socrate, ad avviso di Kierkegaard, era ≪che ogni uomo dovrebbe comprendere se stesso e in forza di cio il suo rapporto con il singolo, sempre, allo stesso tempo, con umilta e fierezza≫ Ragion per cui Socrate si considero come maestro un'"occasione" al contrario degli uomini del tempo di Kierkegaard. Il filosofo danese e grato a Socrate per avergli fatto capire che la verita era in effetti in lui stesso ed e uscita da lui, una verita che nemmeno Socrate, secondo l'insegnamento e la dottrina del filosofo greco, poteva comunicargli.

Mentre Kierkegaard si dichiara entusiasta del suo rapporto "storico" con Socrate e Prodico , ammette che tale rapporto non concerne, invece, il fine della sua salvezza eterna ≪perche questa e data prevalentemente attraverso il possesso della verita che io ho fin dal principio, senza saperlo≫.

Il punto di partenza nel tempo, secondo Kierkegaard, non e niente: ≪perche nello stesso istante in cui scopro che io dall'eterno ero a conoscenza della verita senza sapere di averla, nello stesso momento quell'istante e avvolto dall'eterno, racchiuso in esso in modo che io, per cosi dire, non posso neppure trovarlo, anche se lo cercassi, perche non c'e un qui o li, ma solo un ubique et nasquam [9]

B

Ma se le cose dovessero stare diversamente, nota Kierkegaard, ≪il momento nel tempo≫ dovrebbe avere una decisiva importanza ≪in modo che io non posso mai dimenticarlo ne nel tempo ne nell'eternita in quanto l'eterno che prima non era, ha incominciato ad essere in questo istante≫. Cio premesso, si pone quindi il problema: ≪se la verita puo essere insegnata≫.

a) La situazione precedente

Come si puo cercare la verita, se secondo Socrate, la si abbia o no, ≪e comunque impossibile≫ ? Il problema veniva superato da Socrate con l'asserzione che ogni uomo ha la verita . ≪Lo spiegava (Socrate), appunto in questo modo e abbiamo visto cosa ne seguiva riguardo al momento. Ora, perche questo abbia un'importanza decisiva, e necessario che chi cerca non abbia avuto fino a questo momento la verita, neppure in forma di nescienza, altrimenti si tratta solo di momento-occasione≫. Anzi ad avviso di Kierkegaard, questi, non deve essere nemmeno quello che cerca ≪perche e cosi che esprimiamo la difficolta quando non vogliamo spiegarla in modo socratico. Egli dunque deve essere determinato come fuori della verita (non come uno che va verso di essa, come il proselito, ma come uno che se ne allontana) o come uno che e nell'errore≫. Se questi e nell'errore, come puo essere aiutato a ricordare cio che in effetti non ha capito e neppure conosce?

b) Il maestro

≪Se il maestro deve essere per il discepolo l'occasione di ricordare, allora egli non puo aiutarlo a ricordare che egli in realta conosce la verita perche il discepolo e veramente nell'errore. Cio che il maestro puo costruire occasione di ricordare e che egli e nell'errore. Ma con questa presa di coscienza il discepolo e proprio escluso dalla verita piu di quanto non sapeva di essere nell'errore≫. Il discepolo grazie al ricordo suscitato dal maestro e tornando in se ≪non scopre che prima conosceva la verita, bensi che e nell'errore≫ Rispetto a questa presa di coscienza, si applica il principio socratico secondo il quale ≪il maestro e soltanto un'occasione chiunque egli sia, fosse pure Dio; perche il mio proprio essere nell'errore io non posso scoprirlo che da me stesso, perche solo quando so lo scopro, e chiaro, non prima, anche se il mondo intero lo sapesse≫

Se il discepolo deve ricevere la verita e il maestro stesso che deve portargliela stabilendo anche la condizione per comprenderla perche se fosse invece il discepolo a stabilire tale condizione per la comprensione della verita ≪allora non avrebbe bisogno che di ricordare. Infatti la condizione per comprendere la verita equivale a poter porre il problema su di essa, condizione e problema contengono il condizionato e la risposta (se cosi non fosse, il momento dovrebbe essere inteso soltanto in senso socratico). Ma colui che da al discepolo, oltre la verita anche la condizione, non e il maestro. Ogni insegnamento si basa, in fondo, sul fatto che si da la condizione; se questa manca, il maestro non puo fare niente, perche, altrimenti, egli non deve solo istruire il discepolo ma anche crearlo prima di incominciare ad istruirlo≫. La conclusione della "filosofia della verita" kierkegaardiana e: Nessun uomo puo fare questo, nessun insegnante umano, ma solo Dio, e Dio che crea il discepolo e da la condizione per capire la verita e siccome il momento deve avere un'importanza decisiva, il discepolo deve essere senza condizione ≪cioe privo d'essa≫ e questo non per intervento divino, spiega Kierkegaard, ma perche e il discepolo lo vuole e ha fatto di suo iniziativa e volontariamente quella scelta. Dio stesso e il maestro , ≪agendo come occasione fa ricordare al discepolo che egli e nell'errore≫, errore di cui e personalmente colpevole. Errore che Kierkegaard identifica e chiama: peccato . E Dio quindi il maestro, il Salvatore , il Redentore , il Riconciliatore , il Giudice che da sia la condizione che la verita. Il momento deve avere anch'esso un nome particolare, ad avviso di Kierkegaard, si deve chiamare: la pienezza del tempo . Un chiaro riferimento al versetto biblico di Paolo nella di Galati (capitolo 4 versetto 4) che ad avviso del filosofo Salvatore Spera, curatore dell'opera Briciole Filosofiche ≪sottolinea la densita cristologica della categoria kikegaardiana del momento [10]

c) Il discepolo

Il discepolo, e nell'errore, ma ≪ora ottiene la condizione e la verita, non diventa uomo per la prima volta, perche gia lo era, ma diventa un altro uomo [...] di un'altra qualita, [...] possiamo anche chiamarlo un uomo nuovo ≫. Quindi il discepolo deve innanzitutto volere essere liberato o slegato dai lacci del suo errore, il suo cammino deve cambiare direzione e convertirsi , quindi siccome ha coscienza del suo peccato, lascia con dolore lo stato di prima per assumerne uno nuovo. Kierkegaard chiama questo dolore : pentimento , infatti spiega ≪Poiche egli era nell'errore e ora con la condizione riceve la verita, avviene in lui un cambiamento, come dal non essere all'essere≫. Questo passaggio dal non essere all'essere e per il filosofo danese la nascita con la quale quel discepolo viene al mondo nuovamente, ma siccome quel discepolo e gia esistente non dovrebbe essere generato, e invece no, lui e generato, con il passaggio che Kierkegaard chiama rinascita  : ≪Come colui che, avendo con la maieutica socratica , generato se stesso, dimentica ogni altra cosa al mondo e in un senso piu profondo non deve nulla a nessuno≫, cosi colui che rinasce "di nuovo" non deve nulla a nessuno, ma deve tutto solo a Dio, al divino e misericordioso maestro. Il filosofo introduce quindi l'elemento decisivo che e il momento spiegando che ≪nel momento egli [il discepolo] prende coscienza di essere nato, perche il suo stato precedente, al quale non puo riferirsi, era proprio quello di non essere. Nel momento egli prende coscienza della sua rinascita perche il suo stato precedente era appunto quello di non essere. Se il suo stato precedente fosse stato di essere, allora in nessuno dei casi il momento avrebbe avuto un'importanza [...] ≫. E qui, che Kierkegaard esordisce, affermando che proprio questo sara il suo progetto e il fine del suo saggio, anche se alcuni possono giudicarlo il progetto di un pazzo: ≪Sarebbe infatti assurdo pretendere da un uomo di scoprire da se che egli non esisteva. Ma questo e il passaggio della rinascita dal non essere all'essere≫.

Dio come maestro e salvatore

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Capitolo II - Un esperimento poetico

≪[...] percio giudicava con la irremovibilita di un morto≫

Kierkegaard all'inizio di questo secondo capitolo, prende ad esempio, un grande maestro che tiene in grande considerazione: Socrate. Ma Socrate, osserva il filosofo danese, non fu sempre maestro. Lui visse come Socrate, ≪quando in eta matura ha sentito una chiamata interiore, un impulso≫ incomincio ad insegnare agli altri. Solo quando giunse il ≪momento opportuno≫ si presento ≪come il maestro Socrate≫.

Il rapporto di Socrate, ovvero del maestro, e stato sempre allo stesso modo autopatico e simpatetico [11] . Quel maestro, per il suo insegnamento, non volle ne onori, ne denaro ne cariche onorifiche, ≪percio giudicava con la irremovibiluta di un morto≫. Kierkegaard osserva che Socrate fu sobrio, al contrario di quanto accadeva nel suo tempo, ≪quando il denaro non basta e la corona non risplende abbastanza per compensare la magnificenza dell'insegnamento≫. Un tempo che il filosofo, osserva, aveva "il positivo" [12] , cosa che mancava a Socrate. Ma questa mancanza non influenzo il rapporto di Socrate con i suoi discepoli. Socrate che amava la divinita puniva se stesso con la stessa divina gelosia con la quale puniva gli altri. Il filosofo quindi e critico verso l'atteggiamento "non socratico" mostrato dai maestri del suo tempo: ≪ognuno va al di la di Socrate, sia nella stima di se stesso che nella cura del discepolo, sia nella disponibilita ai rapporti umani che nel piacere dei panni caldi dell'ammirazione≫.

Dio, al contrario della filosofia socratica, non ha bisogno di nessun discepolo che l'aiuti a capire se stesso, ≪nessuna occasione puo determinarlo in modo che l'occasione abbia lo stesso peso della risoluzione≫. Inoltre per "muovere se stesso" non ha bisogno di ≪nessun bisogno≫ e quindi, nessuna necessita. Quello che determina il suo movimento e solo ed unicamente "l'amore" e questo ≪non trova la soddisfazione nel suo bisogno fuori di se ma in se. La sua risoluzione, che non sta in un rapporto di reciprocita equivalente con l'occasione [13] deve essere eterna anche se, realizzata nel tempo, diventa punto il momento ; perche l'occasione e l'occasionato si corrispondono in perfetta reciprocita come l'eco al grido nel deserto, li non si mostra il momento ma il ricordo lo inghiotte nella sua eternita. Il momento appare precisamente nel rapporto di una decisione eterna con un'occasione non proporzionata.≫ Dio quindi prende dall'eternita questa decisione, ed e l'amore ≪il fondamento≫ ed ≪il fine≫ di essa, perche nota Kierkegaard sarebbe una contraddizione ≪che Dio per muoversi avesse un motivo e uno scopo che non si identificasse con lui≫.

≪[...] perche solo nell'amore il diverso diventa uguale≫

Nonostante questo amore e da parte di Dio mostrato allo scopo di conquistare il discepolo, questo amore e allo stesso tempo ≪fondamentalmente infelice≫ per l'enorme diversita che caratterizza le due parti. Nel mondo, osserva il filosofo, si parla molto di "amori infelici" riferito ad amanti che non riescono a ricongiungersi. Ma questo rapporto divino-umano non puo rientrare nelle esemplificazioni dei rapporti umani, ≪nessun rapporto umano puo rappresentare una valida analogia≫, infatti ≪l'infelicita non sta nel fatto che gli amanti non possono ricongiungersi≫, bensi nel fatto ≪che non riescono a capirsi≫. Una infelicita quindi ben piu profonda, che arriva al cuore. L'amore di questo rapporto inoltre e per qualita molto diverso dal rapporto fra "soli" umani, per Kierkegaard: ≪L'amore e esultante quando unisce cio che e uguale, ma trionfante quando rende uguale nell'amore cio che era diverso≫. Dio pero, secondo il filosofo, colma questa diversita proprio per il fatto che lui per prima ama, ama il discepolo. L'amore quindi diventa "infelice" solo se e il discepolo a rifiutare l'amore di Dio, e quindi colpa del discepolo se non recepisce l'amore di Dio.

A

≪All'unione si arriva quindi con una elevazione≫. Dio innalza il discepolo al suo stesso grado, lo circonda di onore e di gioa. Ma il discepolo da parte sua deve ≪dimenticare se stesso≫.

B

Per stabilire ≪l'unicita≫, Socrate e ancora un esempio che ci aiuta a capire il rapporto Dio-uomo. Socrate infatti per amore del discepolo (e per conquistarlo) si mostrava "ignorante", cio nonostante, Kierkegaard fa notare che non si trattava di un amore "bugiardo", perche fingendo l'ignoranza, Socrate lasciava il discepolo nella convinzione che veramente gli dovesse qualcosa. Lo scopo di quel maestro, invece, verteva ad aiutare il discepolo nel "ritrovarsi", nel ritrovare se stesso. Lo stesso dicasi per l'amore di Dio, non verte solo ad aiutare il discepolo, bensi a "generarlo" o meglio a "rigenerarlo" che e:

≪il passaggio dal non essere all'essere≫

Il discepolo deve tutto a Dio, ≪ed e proprio questo che rende la comprensione cosi difficile≫. Infatti come e compressibile che il discepolo deve tutto ed e ridotto a nulla, eppure non e ≪annientato≫? Come mai, deve tutto a Dio e nello stesso tempo questo discepolo e ≪libero≫? (Kierkegaard cita qui un passo biblico per cui la verita rende liberi).Il massimo che un uomo puo fare nei confronti di un altro uomo, e quello di aiutalo ad essere generato, ma l'unico che genera e solo e unicamente Dio, ≪il cui amore e generante ≫.

≪Qui vale il principio che cio che genera e produce egli l'ha portato in se per molto tempo (209 C). La condizione egli l'ha in se stesso e la produzione (far nascere) e solo un apparire di cio che c'era, per cui il momento anche in questa nascita nello stesso istante e inghiottito dal ricordo.≫

Qui Kierkegaard introduce in tema, per cui e maggiormente conosciuto, e spesso confuso: l'esistenza.

≪E per colui che nasce con il suo morire continuo diventa chiaro che sempre meno si puo dire che egli nasce per il fatto che egli non fa altro che ricordarsi sempre piu chiaramente che egli esiste≫

Come Socrate non faceva distinzioni di alcuna sorte nelle frequentazioni dei suoi discepoli, lo stesso Dio. Come puo Dio fare distinzione alcuna? Anzi l'amore di Dio, secondo il filosofo, va oltre: Dio diventa servo di "qualsiasi" discepolo che vuole conquistare.

Il paradosso assoluto

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Capitolo III - Un capriccio metafisico

≪[...] il paradosso e la passione del pensiero e il pensiero senza paradosso e come l'amante senza passione: un banale protettore≫

[...] il supremo paradosso del pensiero: voler scoprire qualcosa che esso non puo pensare ≫. "Il paradosso" e un altro tema fondamentale nella filosofia kierkegaardiana, associato qui in Briciole al tema principale della sua filosofia, ovvero quello dell'"esistenza". Il filosofo rileva che questa passione e presente in ogni espressione del pensiero anche ≪in quella del singolo, in quanto nel pensiero egli non e semplicemente se stesso. Ma per l'abitudine non ci si fa caso.≫ I naturalisti definiscono "un continuo cadere" il cammino dell'uomo. Ma questo modo di ragione non e probabilmente esagerato? Immaginate il signore che in maniera ripetitiva si reca ogni giorno al suo lavoro e poi torna regolarmente a casa. Difficilmente costui si sara accorto che e caduto piu volte e si e rialzato, in quanto il suo modo di agire e stato: ≪la mediazione≫ [14] . Per spiegare, Kierkegaard si richiama alla filosofia greca , con la presupposizione ≪di sapere cosa e l'uomo≫ [15] . ≪Come il paradosso dell'amore. Mentre l'uomo vive indisturbato in se stesso, nasce il paradosso dell'amor proprio come amore per un altro, per qualcosa che gli manca≫. Secondo il filosofo danese, l'amor proprio e alla base di ogni altro tipo di amore: ≪l'amor proprio e al fondo, o va in fondo ad ogni amore≫, per cui conclude, che una religione dell'amore dovrebbe presupporre una condizione unica ed essenziale: ≪amare se stessi per poi ordinare di amare il prossimo come se stessi≫.

Esiste pero una realta sconosciuta contro la quale, la ragione nella sua passione paradossale, cozza: cio che non si conosce. Questa "non conoscenza" mette in crisi anche la conoscenza che l'uomo ha di se stesso. ≪Allora questo sconosciuto chiamiamolo Dio ≫, un nome semplicemente convenzionale, precisa Kierkegaard.

A questo punto della sua opera, il filosofo cristiano, ragiona sul paradosso assoluto. E "dimostrabile" questo Dio sconosciuto? Puo la ragione provare la sua esistenza? Perche sia l'"esistenza" che la "non esistenza" di Dio e indimostrabile? Kierkegaard, come osserva Salvatore Spera, fa ≪la sua prova ontologica≫ mentre respinge i preambula fidei [16] .

≪A voler dimostrare che questo sconosciuto (Dio) esiste, la ragione in pratica viene meno. Infatti, se Dio non esiste, e impossibile dimostrarlo, ma se esiste, allora e una pazzia volerlo dimostrare perche nel momento in cui si incomincia la dimostrazione, l'ho presupposto non come realta dubbia che non puo essere presa come presupposto mentre quello e presupposto, ma certa, altrimenti non avrei cominciato, comprendendo facilmente che tutta la dimostrazione sarebbe impossibile se Dio non esistesse. Se invece con l'espressione dimostrasse l'esistenza di Dio voglio dimostrare che lo sconosciuto che esiste e Dio, bisogna dire che non mi esprimo molto bene, perche allora io non dimostro niente, tanto meno un'esistenza, uno sviluppo, la determinazione di un concetto. La maggior difficolta consiste nel voler dimostrare che qualcosa esiste, e quel che e peggio per i temerari che ci provano, la difficolta non e proprio di quelle che procurano notorieta a chi le affronta. Tutto il processo dimostrativo si trasforma continuamente in qualcos'altro, un ulteriore processo consequenziario a partire dall'ipotesi stabilita che l'oggetto in questione esiste. Cosi io concludo sempre non con l'esistenza, ma a partire dall'esistenza, sia che mi muova nel mondo della comprensione sensibile che di quella intelligibile. Allora, io non dimostro che c'e una pietra, ma qualcosa che esiste e una pietra; al tribunale non dimostro che c'e un delinquente, ma dimostro che l'imputato, che chiaramente c'e, e un delinquente. Che si chiami accessorium [17] o prius [18] eterno, l'esistenza non puo mai essere dimostrata≫

Quindi, Kierkegaard continua con l'asserire che non esiste una dimostrazione di un individuo a partire dalle sue opere o imprese, perche e l'esistenza a provare quelle opere o imprese e non il contrario: Se uno volesse dimostrare l'esistenza di Napoleone , a partire dalle imprese di Napoleone, ≪sarebbe il colmo della stranezza≫ perche? ≪perche e la sua esistenza che spiega le imprese, e non le imprese la sua esistenza, a meno che io non abbia previamente compreso il termine sua in modo da supporre che egli esiste≫. Ma mentre fra Napoleone e le sue imprese non esiste un rapporto assoluto (perche Napoleone e soltanto un singolo e anche un altro avrebbe potuto compiere quelle stesse imprese), tra Dio e la sua opera esiste un rapporto assoluto. Dio, rileva Kierkegaard, ≪non e un nome ma un concetto; forse dipende da questo che in lui essentia involvit existentiam [19]

≪Ma quali sono le opere di Dio?≫, chiede il filosofo. ≪Immediatamente le opere mediante le quali io voglio di mostrare la sua esistenza, non esistono affatto≫. O forse sono la sapienza della natura, la bonta o la sapienza della provvidenza? Ad avviso di Kierkegaard, questi argomenti non si prestano alla dimostrazione di Dio, come invece ≪le opere considerate sul piano ideale, quelle cioe, che non si manifestano immediatamente. E allora non e dalle opere che ho dimostrato ma sviluppo semplicemente la realta ideale che ho presupposto; appoggiandomi ad essa io oso affrontare tutte le obiezioni, perfino quelle che ancora non sono state fatte≫. Ragion per cui, Kierkegaard conclude che questo modo di agire altro non e che supporre che Dio esiste ≪e che in realta e confidando in lui che io comincio≫. Quindi e forse davvero impossibile dimostrare l'esistenza di Dio? Praticamente si, a meno che, e qui Kierkegaard introduce, un altro importante termine, caro alla sua filosofia, non ci sia: un salto .

Dio e l'uomo. Puo la ragione umana concepire il diverso, l'assolutamente diverso? Kierkegaard spiega: ≪ [...] e di questo assolutamente diverso che l'uomo non ha alcun segno di riconoscimento [...] l'assoluta differenza la ragione non puo neppure pensarla; infatti questa non puo negare se stessa assolutamente ma si sforza di capire e trasferisce, quindi, la differenza in se stesso cosi come la puo capire con le sue forze≫ (Il pensiero di Kierkegaard qui e riportato da una nota di Spera nei Papirer del filosofo: La ragione e l'organo della mediazione, la fede della differenza assoluta, qualitativa - Papirer , III A 211).

≪La differenza che si e messa alla portata della ragione, l'ha fuorviata in modo che essa non conosce piu neppure se stessa e inevitabilmente, scambia se stessa per la differenza. [...] la differenza e questa io non la conosco (altrimenti dovrei conoscere Dio), perche la ragione l'ha resa uguale a cio da cui differisce. [...] la ragione nel determinare l'ignoto (Dio) come differenza finisce per smarrirsi e scambia la differenza con l'uguaglianza. [...] l'uomo [...] se vuole sapere veramente qualcosa sull'ignoto (Dio), deve arrivare a sapere che egli e diverso da lui, assolutamente diverso. Da se stesso la ragione non puo arrivare a saperlo [...] se arriva a saperlo, e da Dio che lo sa e se lo sa, comunque non puo comprenderlo e quindi non arriva a saperlo; come potrebbe, infatti, capire l'assolutamente diverso? [...] se Dio e assolutamente diverso dall'uomo , allora l'uomo e assolutamente diverso da Dio, ma come potrebbe capirlo la ragione?≫

Kierkegaard conclude che la gran differenza e: il peccato!, questa e la differenza assoluta imputabile solo all'uomo. La coscienza del peccato che nessun uomo e in grado di insegnare agli altri, ne gli altri a lui ma che solo Dio come maestro puo insegnare.

Lo scandalo del paradosso - Una illusione acustica

Un confronto e felice, esordisce Kierkegaard, se il paradosso e la ragione ≪si affrontano nella comprensione reciproca della loro diversita≫. Infelice, e invece tale rapporto, se non avviene in tale comprensione, un amore infelice della ragione, che il filosofo chiama (altro termine caro alla sua filosofia): scandalo . Ogni scandalo inoltre e "sofferente" [20]

Personalizzando questa condizione (lo scandalo), Kierkegaard asserisce che lo scandalo, ogni scandalo, e paziente. ≪Anche l'uso linguistico mostra che ogni scandalo e paziente. Si dice che si e scandalizzati e questo indica soprattutto lo stato, ma nello stesso senso, si usa l'espressione subire uno scandalo (identita di agente e paziente)≫ Il termine greco, rileva in una nota dell'opera Kirkegaard significa appunto subire un urto. ≪Qui il movimento si mostra chiaramente: non e lo scandalo che urta, ma lo scandalo che subisce l'urto, dunque in modo paziente, anche se cosi attivo da essere lui a riceverlo. Percio non e la ragione ad aver scoperto da se lo scandalo; perche l'urto paradossale, come lo spiega la ragione isolata, non scopre ne il paradosso ne lo scandalo. [...] lo scandalo non comprende se stesso ma e capito dal paradosso [21] . Mentre percio lo scandalo, comunque si esprima risuona da un'altra parte, anzi dalla parte opposta, e il paradosso che risuona in esso, e questa e una illusione acustica≫. Lo scandalo spiega Kierkegaard non e inventato dalla ragione, altrimenti la ragione avrebbe scoperto anche il paradosso; quindi e con il paradosso che nasce lo scandalo.

A questo punto Kierkegaard risponde a domande di una fittizia conversazione con un suo ipotetico lettore. Sa che tale lettore potrebbe accusarlo di ≪sofisticare≫ su questi temi, potrebbe anche accusarlo che le espressioni che Kierkegaard mette in bocca al paradosso , non sono proprio sue, che non gli appartengono. Kierkegaard risponde a queste ipotetiche accuse in questo modo: ≪E come potrebbero appartenermi, se appartengono al paradosso?≫. Certo, ammette Kierkegaard, sono espressioni che appartengono a Tertulliano , Hamann , Lattanzio , Shakespeare (anche Re Lear e a Lutero . Mentre Kierkegaard ammette di aver usato espressioni di questi autori, rileva: ≪Certo, me ne rendo perfettamente conto; ma vuoi dirmi se tutti costoro hanno parlato di un rapporto tra il paradosso e lo scandalo? ≫. Quindi asserisce che lo scandalo ha un merito: ≪ [...] quello di rendere piu chiara la differenza perche in quella felice passione, alla quale non abbiamo ancora dato un nome, la differenza si intende molto bene con la ragione≫.

La situazione del discepolo contemporaneo

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Capitolo IV

≪[...] nessuna conoscenza puo avere per oggetto questo assurdo che l'eterno e un fatto storico≫

Un discepolo che e stato testimone oculare degli avvenimenti cristiani del I secolo e avvantaggiato rispetto a un discepolo contemporaneo? La risposta a questa domanda e l'argomento del IV capitolo, cui Kierkegaard da risposta con una serie di considerazioni:

≪Immaginiamo che Dio vada per la citta nella quale e apparso (quale non importa); l'annuncio della sua dottrina e la sua unica e sola ragione di vita, e lui cibo e bevanda≫. Insegnamento e preoccupazione del discepolo e l'occupazione sistematica del "maestro". La folla quindi si raduna, lo vede e lo sente. E forse, la folla curiosa "il suo discepolo"? chiede Kierkegaard. Assolutamente no! e la risposta del filosofo. E immaginiamo ancora che uno di quei maestri di una di quelle citta si recasse di nascosto dal maestro ≪per misurarsi con lui nella controversia≫. E forse questo altro "il discepolo"? Ancora no! risponde Kierkegaard: ≪se la folla o quel maestro imparassero qualcosa, Dio sarebbe soltanto, in senso puramente socratico , l'occasione≫. Inoltre questi osservatori oculari sono in qualche modo avvantaggiati rispetto al discepolo contemporaneo (Kierkegaard lo chiama anche: "di seconda mano")? No! Ne ragione, ne paradosso, argomenta Kierkegaard ma "la condizione" fondamentale: la fede

≪Il discepolo contemporaneo, puo, con tutta facilita, procurarsi ogni chiarimento storico. Ma non dimentichiamo che, quanto alla nascita di Dio, egli si trovera esattamente nella condizione del discepolo di seconda mano, sicche, se vogliamo insistere sulla necessita assoluta del sapere storico, soltanto una persona avra tutte le carte in regola, quella donna, cioe, dalla quale ha voluto nascere. E facile, dunque, per il discepolo contemporaneo diventare testimone storico ma il guaio e che conoscere una circostanza storica o magari tutte le circostanze storiche con l'attendibilita del testimone oculare, non fa affatto di un testimone oculare un discepolo, cosa che, per altro, si vede dal fatto che tale sapere non ha per lui altro significato che quello storico. Questo dimostra direttamente che il fatto storico nel senso piu concreto e indifferente; se chiamiamo in causa l'ignoranza e la facciamo quasi distruggere un pezzo alla volta, distruggere la storia dal punto di vista storico, purche rimanga anche solo il momento, come punto di partenza dall'eterno, il paradosso c'e≫

Quindi non la comprensione del maestro basata sui "dati": ≪ [...] il sapere storico e questione di memoria. Finche eterno e storico non si fronteggiano, l'elemento storico e solo l'occasione, [...] nessuna conoscenza puo avere per oggetto questo assurdo che l'eterno e un fatto storico≫

Credente e discepolo. Come l'allievo diventa credete e discepolo? chiede Kierkegaard. La risposta e: ≪Quando la ragione e messa da parte ed egli trova la condizione≫. E cosa condiziona questa condizione? ≪La sua comprensione dell'eterno≫. E la comprensione dell'eterno ricevuta dal maestro, ad avviso di Kierkegaard, e priva di ≪tutte le storie e gli strombazzamenti che egli, anche se non avesse ricevuto la condizione dal maestro, sarebbe stato ugualmente in grado di scoprire l'Incognito di Dio; che avrebbe potuto notarlo da se, perche era preso da tanta ammirazione ogni volta che vedeva quel maestro, perche c'era qualcosa nella sua voce. nel suo aspetto, ecc. ecc. sono chiacchiere con le quali non si diventa discepoli ma unicamente si prende in giro Dio≫ [22] .

Quelli che furono osservatori oculari, asserisce il filosofo, non sono avvantaggiati rispetto ai discepoli contemporanei (Kierkegaard li chiama anche: "discepoli di seconda mano"). Infatti, ne ragione, ne paradosso, ma "la condizione" fondamentale per credere, per ambedue i tipi di discepoli e sempre e solo la stessa: la fede . E Dio, il maestro, a dare questa condizione "per vederlo", aprendo, appunto, ≪l'occhio della fede≫ al discepolo. Kierkegaard fa inoltre rilevare ≪che si puo essere contemporanei senza essere contemporanei≫, perche il vero contemporaneo ≪e tale non in forza della immediata contemporaneita, ergo anche il non contemporaneo (inteso in senso immediato) puo diventare contemporaneo mediante quel qualcos'altro mediante il quale il contemporaneo diventa il vero contemporaneo≫. Che la contemporaneita con "il maestro" nel primo secolo non avvantaggi quei testimoni oculari rispetto ai discepoli di "seconda mano" (ovvero tutti quelli che nei secoli dopo, non sono vissuti al tempo di Cristo), Kierkegaard, lo spiega con la citazione del passo biblico di Luca 13:26 secondo il quale ci sarebbero state persone che condannate da Dio avrebbero fatto appello proprio al fatto che lo avevano udito predicare nelle loro citta, avevano mangiato e bevuto con lui, ma nonostante tutto, il maestro in quel tempo di giudizio avrebbe risposto: ≪non vi conosco [...] operatori di ingiustizia≫. Quindi ogni credente che fa le opere di Dio e il vero contemporaneo indipendentemente dal tempo in cui vive, mentre ≪la contemporaneita immediata puo essere soltanto l'occasione≫.

a) ≪ [...] occasione per il contemporaneo di avere una conoscenza storica≫

b) ≪ [...] occasione di interiorizzarsi profondamente, in modo che quella contemporaneita svanisca nel nulla di fronte all'eterno che egli ha scoperto in se stesso≫

c) ≪ [...] occasione per il contemporaneo, che e nell'errore, di ricevere da Dio la condizione di poter vedere la gloria con gli occhi della fede≫ (il nostro caso)

E davvero ≪Beato quel contemporaneo!≫, rileva il filosofo. Ma costui ≪non e (in senso immediato) un testimone, ma e contemporaneo come credente, nell' autopsia della fede≫. Dove la fede, precisa una nota dell'opera, il filosofo intende come Hegel (l'espressione appartiene invece a Schelling): e ≪ la certezza interiore che anticipa l'infinito ≫ ma ≪in questa autopsia, a sua volta, ogni non-contemporaneo (in senso immediato) e contemporaneo≫.

Quindi il discepolo di "seconda mano" ha le stesse possibilita del discepolo vissuto nel I secolo (testimone oculare delle opere del maestro). E se proprio deve, Kierkegaard e disposto a fare una sola concessione, ≪soltanto in un senso potrei essere tentato di dichiarare il contemporaneo (in senso immediato) piu fortunato di chi appartiene alle generazioni successive≫, Che senso? Kierkegaard spiega che mentre il discepolo (non contemporaneo a Cristo) ha dovuto subire ≪le chiacchiere nocive sulla fede≫ accumulatesi nel corso dei secoli fino al suo tempo, il discepolo del cristianesimo originale non ha subito quel travaglio perche la fede dei contemporanei a Cristo, era mostrata in tutta la sua originalita.

Interludio - Il passato e piu necessario del futuro?

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cioe , Il possibile che e diventato reale, e per cio piu necessario di prima?

Kierkegaard, in questo interludio , si rivolge al suo lettore, scusandosi del fatto che ripete le stesse riflessioni ≪sullo stesso argomento≫, ma, e un argomento che ha bisogno di riflessione si giustifica il filosofo, anche perche fa notare, in polemica con "il sistema" hegeliano, ≪nella filosofia contemporanea, che, come la nostra epoca, pare soffrire di una eterna distrazione perche scambia lo svolgimento per il titolo, infatti chi e stato meraviglioso e meravigliosamente grande, quanto a titoli, come la filosofia contemporanea e l'epoca contemporanea?≫.

1. Il divenire

≪In che modo cambia cio che diviene, cioe, qual e la mutazione del divenire? Ogni altra mutazione presuppone che cio in cui avviene la mutazione, esista, anche se la mutazione consiste nel cessare di esistere. Non cosi col divenire; infatti , se cio che diviene non resta immutato in se stesso nella mutazione del divenire, allora cio che diviene non e questo che diviene ma un altro e il problema implica una trasmutazione di genere [23] in quanto chi, nel caso, pone la questione, o nella mutazione del divenire rende un'altra mutazione che gli confonde il problema o si sbaglia su cio che diviene e non e in grado, quindi, di domandare. Se un piano, mentre diviene, cambia in se stesso, non e lo stesso piano che diviene; ma d'altra parte, se rimane immutato, in cosa consiste la mutazione del divenire?≫ La risposta e: che questa mutazione non avviene nell'essenza ma nell'essere dal non esserci ad essere . Infatti secondo una lunga nota del filosofo riportata nell'opera (al capitolo III sul paradosso assoluto), l'essenza e immutabile ed e nell'esistenza che avviene la mutazione .

Ogni mutazione presuppone sempre qualcosa. ≪Ma un tale essere che e in effetti un non-essere e proprio la possibilita, e un essere che e essere e, invece, l'essere reale, cioe la realta, la mutazione del divenire e il passaggio dalla possibilita alla realta.≫

Cio che e necessario puo divenire? Il filosofo risponde: No! perche ≪tutto cio che diviene, dimostra, proprio perche diviene, di non essere necessario, infatti l'unico che non puo divenire e il necessario perche il necessario e ≫. Ma ci sono altre ragioni portate a sostegno di questa asserzione filosofica Kierkegaardiana:

  • Il divenire e una mutazione, ma cio che e necessario non puo mai cambiare perche si rapporta sempre a se stesso e si rapporta a se stesso sempre nello stesso modo.
  • Ogni divenire e un patire e cio che e necessario non puo patire la sofferenza della realta che e questa, che il possibile (non solo il possibile che rimane escluso, ma anche il possibile che e accettato) appare come nulla nel momento che diventa reale; perche, con la realta, la possibilita e annientata .

≪Nulla esiste perche e necessario, ma il necessario esiste perche e necessario o perche il necessario e . Il reale non e piu necessario del possibile perche il necessario e assolutamente diverso da entrambi. [24] (Dottrina di Aristotele sulle due specie di possibile rispetto al necessario. L'errore sta nel fatto che comincia con la proposizione: tutto cio che e necessario e possibile. Per evitare di affermare cio che e contraddittorio, anzi autocontraddittorio, sul necessario, egli ricorre a due specie di possibile, anziche seguire l'errore della sua prima proposizione, perche il possibile non si puo predicare del necessario).≫

La mutazione del divenire e la realta, un passaggio nota il filosofo che avviene nella liberta. Nessun divenire e quindi necessario ≪ne prima di divenire, altrimenti non potrebbe divenire, ne dopo essere divenuto, perche allora non sarebbe divenuto≫. Ogni divenire avviene nella liberta e non quindi per necessita; ≪ nulla di cio che diviene, diviene per una ragione ma tutto per una causa ≫, causa osserva il filosofo che agisce liberamente.

2. La realta storica

≪Tutto cio che e divenuto e eo ipso storico≫, infatti il predicato storico decisivo che si puo dire e: che e divenuto . Il presente che confina con il futuro non si puo definire storico perche non e ancora divenuto storico, quindi solo il passato e l'unica realta storica. Solo l'eterno nella sua perfezione, non ha storia e tuttavia e presente anche senza avere storia.

3. Il passato

Cio che e accaduto non puo essere rifatto ancora, ne si puo cambiare, e immutabile! ≪E questa la immutabilita della necessita?≫ chiede Kierkegaard. L'immutabilita del passato e introdotta con la mutazione del divenire anche se ≪tale immutabilita non esclude ogni mutazione. [...] Se si vuole ritenere necessario il passato, si finisce per dimenticare che esso e divenuto; ma tale dimenticanza deve essere, forse, necessaria?≫. Il filosofo fa notare che cio che e accaduto e accaduto e nel modo in cui l'avvenimento si e verificato e immutabile, ≪ma e questa l'immutabilita della necessita?≫

≪L'immutabilita del passato sta nel cosi effettivo che non puo accadere diversamente; ma segue da cio che il suo possibile come non avrebbe potuto divenire diversamente? Invece, l'immutabilita del necessario consiste nel suo rapportarsi sempre a se stesso, e rapportarsi sempre allo stesso modo, esclude ogni mutazione, non si accontenta dell'immutabilita del passato che non e, chiaramente, solo in rapporto dialettico con la mutazione antecedente dalla quale procede, ma anche in rapporto dialettico con quella successiva che la toglie (per es. quella del pentimento, che vuole togliere una realta). Il futuro non e ancora accaduto ma, percio non e meno necessario del passato, perche il passato non e divenuto necessario in quanto e accaduto, ma per essere accaduto ha dimostrato di non essere necessario. Se il passato fosse divenuto necessario, da cio non si sarebbe potuto tirare una conclusione opposta per il futuro, ma al contrario proprio da cio sarebbe seguito che anche il futuro e necessario≫

Per cui il passato e accaduto: ≪il divenire e la mutazione della realta mediante la liberta≫. Kierkegaard fa notare che se il passato fosse divenuto necessario, ≪non apparterrebbe piu alla liberta. La liberta stessa sarebbe un'illusione e il divenire anche; la liberta sarebbe un sortilegio e il divenire un falso allarme [25] ≫.

4. La comprensione del passato

La realta storica, (che sia da un anno o un giorno) di per se e sempre passata, ≪e in quanto passato ha una realta, certamente e sicuramente e accaduto; ma proprio il fatto che sia accaduto costituisce, di rimando, la sua incertezza in grado di impedire sempre che si concepisca il passato come se dall'eternita fosse stato sempre cosi. [...] Il passato non e necessario per il fatto che e avvenuto; non e diventato necessario col fatto che diviene (una contraddizione) e tanto meno diventa necessario attraverso la comprensione di qualcuno. (La distanza temporale fa si che il senso spirituale si inganni come la distanza spaziale da luogo all'illusione sensoriale. Il contemporaneo non vede la necessita di cio che sta divenendo, ma quando tra l'avvenimento e colui che vi riflette si interpongono dei secoli, questi ne avverte la necessita come chi, per la distanza, percepisce tondo cio che e quadrato). Se il passato diventasse necessario nella comprensione, esso acquisterebbe cio che la comprensione ha perduto perche ha capito qualcos'altro, cio che sarebbe una cattiva comprensione. Se cio che e compreso cambia nella comprensione, la comprensione si trasforma in un fraintendimento≫

La conoscenza del presente non da al presente nessun carattere di necessita cosi come, e Kierkegaard cita Boezio , una prescienza del futuro non da nessun carattere di necessita al futuro. Lo stesso dicasi del passato, una conoscenza del passato, non da al passato nessun carattere di necessita, ≪infatti, ogni comprensione, come ogni sapere, non ha nulla da dare≫

La realta storica non puo essere immediatamente percepita perche ha la fluidita del divenire. Il presente nella realta storica, invece, che ha appunto in se il divenire, puo essere invece immediatamente percepito. La percezione immediata (l'unica conoscenza possibile per lo scetticismo antico) ≪e la conoscenza mediata, non possono ingannare. Gia da questo si vede che la realta storica non puo essere loro oggetto, perche essa ha in se quella fluidita proprio del divenire. Rispetto a cio che e immediato, infatti, il divenire e una realta fluida, tale da rendere dubbia anche la realta piu sicura≫. Kierkegaard conclude asserendo che≪il nulla del non essere e l'annientameto della possibilita che e nello stesso tempo di ogni altra possibilita≫. ≪Precisamente di questo tipo e la fede; perche nella certezza della fede e sempre presente, un quanto tolta. L'incertezza che, comunque corrisponde a quella del divenire.≫

La fede quindi crede a cio che non vede, prendendo per esempio una stella, non crede che la stella esiste perche questo si vede, ma crede che la stella sia divenuta. ≪Lo stesso vale per cio che e accaduto Cio che e accaduto puo essere conosciuto immediatamente, ma che sia accaduto in nessun modo, neppure che esso accade, anche se, come si dice, sotto il naso. La fluidita di cio che e accaduto sta nell'essere accaduto, cioe nel passaggio dal nulla, dal non essere e dal molteplice possibile come . La sensazione e la conoscenza immediata non hanno idea della incertezza nella quale la fede si accosta al suo oggetto, ma neppure della certezza che da questa incertezza scaturisce≫

La sensazione e la conoscenza immediata non possono ingannare, quindi per comprendere il giusto posto della fede bisogna fare anche i conti con il dubbio. Kierkegaard colloca la questione in quanto sta alla base del scetticismo greco. E come si comportavano gli scettici greci? Kierkegaard osserva che questi scettici sospendevano il giudizio su ogni questione che implicava un dubbio . Quindi un atto di volonta, una scelta: ≪essi non dubitavano in forza della conoscenza ma in forza della volonta≫. La conseguenza, ad avviso del filosofo danese, era che il dubbio veniva tolto solo nella liberta, volontariamente, perche si ≪voleva dubitare≫. Quindi non la stupidita (hegeliana) di voler dubitare per necessita, e con questo (cosa ancora piu stupida) togliere il dubbio.

Lo scetticismo greco, secondo Kierkegaard, non negava ≪la verita della sensazione e della conoscenza immediata≫ ma l'errore derivava dalla conclusione che si "tirava". Quindi bastava non tirare conclusioni per non sbagliare mai. Lo scettico greco si manteneva sempre ≪ in suspenso ≫, in una situazione che lui voleva, che lui liberamente sceglieva. Quindi il nocciolo della questione stava proprio nell'atteggiamento mentale.

≪Anche la fede non e conoscenza ma un atto della liberta, una espressione della volonta. Essa crede al divenire ed ha tolto in se stessa l'incertezza che corrisponde al nulla del non essere; crede al cosi del divenuto e ha tolto in se il possibile come del divenuto e senza negare la possibilita di un altro piu certa. Ora in quanto cio che nella fede diventa una realta storica e in quanto realta storica diventa oggetto della fede (l'una corrisponde all'altra) e immediatamente presente e si concepisce immediatamente, non inganna≫. Il contemporaneo, quindi, potrebbe benissimo impiegare i suoi occhi, ma senza tirare nessuna conclusione. Non puo infatti riconoscere (nell'immediato) ≪che il fatto e avvenuto≫, ne la sua necessita, ≪perche la prima espressione del divenire e appunto la conclusione di continuita≫.

La fede, ad avviso del filosofo non "conclude", non e "una conclusione" di un certo qualcosa che porta alla fede. La fede e una decisione per cui esclude ogni possibile dubbio. La fede inoltre e il contrario del dubbio anche se fede e dubbio ≪non sono due specie di conoscenza≫. Nessuno di loro, ad avviso di Kierkegaard sono ≪un atto cognitivo≫, ma due passioni opposte. La definizione di Kierkegaard sulle due "passioni" e la seguente: ≪La fede e il senso del divenire e il dubbio e la protesta contro ogni conclusione che voglia andare oltre la sensazione e la conoscenza immediata≫.

≪Chi non e contemporaneo della realta storica [...] ha il racconto dei contemporanei col quale si rapporta come i contemporanei con la realta immediata [...] Quando, dunque, chi appartiene ad una generazione successiva crede al passato (non alla sua verita, perche questo e un fatto di conoscenza che riguarda l'essenza, non l'essere; ma crede che cio era presente perche era divenuto) allora c'e l'incertezza del divenire, e questa incertezza del divenire (il nulla del non essere, il possibile come del cosi reale) vale per lui come per il contemporaneo, la sua mente deve essere in suspenso come quella del contemporaneo. Egli, dunque non ha piu davanti a se alcuna immediatezza e neppure alcuna necessita del divenire, ma solo il cosi del divenire. Chi appartiene ad una generazione successiva crede sulla base della testimonianza del contemporaneo ma solo nello stesso senso del contemporaneo in base alla sensazione e alla conoscenza immediata; ma non e per questo che il contemporaneo crede e dunque neppure chi viene dopo puo credere in base al racconto≫

Quindi Kierkegaard conclude che in nessun momento quindi il passato diventa necessario.

Appendice: Applicazione

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≪Quanto detto vale per la realta storica immediata la cui contraddizione consiste solo nell'essere divenuto, la cui contraddizione e solo quella del divenire; perche qui ancora una volta non bisogna illudersi come se fosse piu facile capire che qualcosa e divenuta dopo che e divenuta anziche prima di divenire. Ma [...] torniamo alla nostra ipotesi che Dio e stato ≫ in rapporto alla nuda realta storica il filosofo osserva ≪che non puo diventare storica per la sensazione o conoscenza immediata≫ per ambedue le categorie ovvero ne per il contemporaneo, ne per coloro che appartengono a una successiva generazione, per cui, non e di nessun vantaggio l'essere immediatamente contemporanei.

Il discepolo di seconda mano

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Capitolo V

Siccome erano passati 1843 anni tra il discepolo contemporaneo (a Cristo) e la scrittura della sua opera ( Briciole filosofiche ), Kierkegaard chiede ≪di determinare chi e il discepolo di seconda mano≫, specificando cosa lo distingue e cosa lo accomuna dal quel discepolo contemporaneo, anche perche il filosofo si chiede se sia giusto dividere un periodo enorme di tempo in due parti, a suo avviso, disuguali ovvero il contemporaneo e colui che appartiene a una generazione successiva.

1. Il discepolo di seconda mano nella sua differenza con se stesso

≪Qui non si riflette, dunque, sul rapporto del discepolo secondario con il contemporaneo, ma la differenza sulla quale si riflette e tale che l'uguaglianza di reciproca differenza rispetto a un terzo rimane immutata; perche la differenza che si differenzia solo da se stessa, resta senz'altro all'interno dell'uguaglianza con se stessa. Per questo motivo , non e affatto un capriccio interrompere quando si vuole; perche la relativa differenza non e qui un sorite da cui, con un coup de mains , debba venir fuori la qualita su essa e all'interno di una determinata qualita. una sorite ci sarebbe solo se si rendesse l'essere contemporaneo dialettico in cattivo sensa, col mostrare, per es., che in certo senso, non c'e stato alcun contemporaneo, perche nessuno poteva essere contemporaneo in tutti i momenti, e col chiedere quando cesserebbe la contemporaneita e comincerebbe la non contemporaneita, se non ci sia un confinium negoziabile del quale una ragione ciarliera possa dire: fino a che punto ecc. ecc.. Tutta questa disumana profondita non porta a nulla o, forse, nella nostra epoca a essere considerati autentici speculativi dal momento che il deprecato sofisma e diventato - il diavolo sa come vanno le cose! - il miserabile segreto dell'autentica speculazione, e cio che nell'antichita era considerato negativamente, il "fino a un certo punto" (la parodistica tolleranza che media tutto alla grande) e diventato il positivo, e cio che l'antichita chiamava il positivo, la passione della distinzione, e diventata una stupidaggine≫

La conclusione del filosofo e che il problema del discepolo di seconda mano e in effetti essenzialmente un falso problema, e anche se fra le due categorie esistono differenze, queste in effetti non sconvolgono tutto, temi questi che saranno affrontati, come promette Kierkegaard, nei prossimi paragrafi.

a. La prima generazione di discepoli secondari

La prima generazione di discepoli secondari ≪ha (relativamente) il vantaggio di essere piu vicina≫ a quella che Kierkegaard chiama ≪certezza immediata≫ e di procurarsi ≪un resoconto attendibile dei fatti≫ da persone la cui attendibilita e verificabile.

In tutti i casi "la fede" non e "nella direzione" di ≪una realta puramente storica≫ e in tutti i casi non si diventa "discepoli" solo perche si presentano resoconti attendibili anche perche i resoconti attendibili potrebbero non essere proprio tali se l'osservatore ha visto o udito male. Ragion per cui:

≪L'attenzione, infatti, non parteggia in alcun modo per la fede come se questa nascesse come pura conseguenza dell'attenzione≫

b. L'ultima generazione

L'ultima generazione nonostante sia lontana da quella che Kierkegaard chiama "scossa", ha ≪sotto i suoi occhi le conseguenze con le quali quel fatto deve aver sconvolto ogni cosa≫, ma tutto questo, ancora, non coinvolge la fede, infatti il filosofo asserisce: ≪non c'e nessun passaggio immediato per la fede, perche, come si e mostrato, la fede non parteggia in alcun modo per la verosimiglianza≫.

c. Confronto

La prima generazione di discepoli secondari, ad avviso del filosofo ha ≪il vantaggio che la difficolta e li; perche e sempre un vantaggio, una facilitazione quando la difficolta che devo superare mi si presenta nella sua realta. Se l'ultima generazione, nel considerare la prima la vedesse quasi soccombere dallo spavento e dicesse: " E incomprensibile perche la faccenda non e piu pesante di quello che uno puo caricarsi addosso e correre", qualcuno potrebbe rispondere: "Prego, corri tu, ma bada bene che il peso col quale corri sia proprio lo stesso di cui si parla; non discutiamo, certo, sulla facilita di correre col vento a favore≫.

D'altronde l'ultima generazione ha ≪il vantaggio della facilita, ma appena scopre che questa facilita e l'equivoco che fa nascere la difficolta, questa sara l'equivalente della difficolta dello spavento e lo spavento l'afferrera con la stessa brutalita della prima generazione dei discepoli secondari≫

2. Il problema del discepolo di seconda mano

Prima di affrontare il tema sul problema del discepolo di seconda mano , Kierkegaard invita il lettore a soffermarsi su ≪un paio di osservazioni orientative≫ che trattano tre diversi tipi di "fatti": "fatto storico", "fatto eterno" e "fatto assoluto"

a) ≪Se quel fatto viene visto come un semplice fatto storico≫, l'essere contemporaneo e in effetti un vantaggio perche ≪si e piu vicino possibile≫ o ≪perche si puo contare sulla attendibilita dei contemporanei≫. Ma, osserva il filosofo, ≪ogni fatto storico e soltanto un fatto relativo e si capisce, quindi, che la potenza relativa, il tempo, decida il destino relativo degli uomini, riguardo alla contemporaneita; nulla di piu≫, per cui tranciante osserva: ≪solo puerilita o stupidita potrebbero innalzarlo al valore di assoluto≫.

b) ≪Se quel fatto e un fatto eterno, allora ogni epoca gli e equidistante ma non, si badi bene, nella fede, perche la fede e la realta storica si corrispondono perfettamente≫ per cui osserva Kierkegaard ≪quindi, ricorro a una espressione linguistica non proprio corretta, quando uso l'espressione: fatto che si riferisce alla realta storica≫. In una nota dell'opera infatti il filosofo spiega che ≪le categorie filosofiche non sono adeguate alla realta cristiana≫.

c) ≪Se quel fatto e un fatto assoluto o, per essere piu precisi, e cio che abbiamo esposto, allora e una contraddizione che il tempo [e quindi discepoli al tempo di Gesu o discepoli contemporanei nel tempo in cui viviamo] debba poter misurare il rapporto che gli uomini hanno con esso, cioe graduarlo in senso decisivo≫. Infatti il filosofo spiega: ≪Perche, cio che si puo graduare essenzialmente col tempo, eo ipso non e l'Assoluto altrimenti ne seguirebbe che l'Assoluto stesso sarebbe un casus della vita, uno status in relazione a un altro mentre esso, benche declinabile in tutti i casibus della vita, e sempre lo stesso e, in costante rapporto con l'altro, rimane sempre tuttavia status absolutus

Dopo queste premesse, Kierkegaard esordisce con l'asserzione: ≪il fatto assoluto e nello stesso tempo, storico≫, e infatti spiega che proprio perche il fatto assoluto e un fatto storico, come tale e ≪oggetto di fede≫. ≪Con cio bisogna certamente accentuare il fatto storico ma non in modo che diventi assolutamente decisivo per gli individui, altrimenti staremmo nel caso a) (anche se questo, cosi concepito, sarebbe una contraddizione perche un semplice fatto storico non e un fatto assoluto e non e in grado di determinare alcuna decisione assoluta); pero neppure si puo rimuovere la realta storica, altrimenti avremmo solo un fatto eterno≫.

Quindi nella realta storica il contemporaneo trova l'occasione di diventare discepolo ≪ricevendo da Dio stesso la condizione (altrimenti parleremmo in modo socratico)≫ La conseguenza e che il racconto dei contemporanei, ad avviso di Kierkegaard, diventa per tutti coloro che vengono dopo, ≪l'occasione per diventare discepolo, si noti bene: ricevendo da Dio la condizione. Cominciamo. Riceve da Dio stesso la condizione colui che, mediante la condizione, diventa discepolo≫

Quindi Kierkegaard tira le sue conclusioni definitive sul "discepolo di seconda mano" scrivendo:

≪Se le cose stanno cosi (e lo abbiamo sviluppato ampiamente in precedenza quando si e dimostrato che la contemporaneita immediata e solo l'occasione ma, si noti bene, non in modo che la condizione fosse di per se implicata in cio che e stato occasionato), c'e ancora modo di porre quel problema del discepolo di seconda mano? Perche, chi ha quello che ha da Dio stesso, chiaramente lo ha di prima mano e chi non lo ha da Dio stesso non e discepolo≫.

A questo punto Kierkegaard fa una supposizione che alla fine giudica insensata: Supponiamo ≪che la generazione contemporanea dei discepoli abbia ricevuto da Dio la condizione, e che le generazioni successive debbano ricevere la condizione da questi contemporanei; che ne seguirebbe?≫. Semplice osserva Kierkegaard, ≪si prenderebbe in considerazione quel racconto dei contemporanei come se fosse questo l'oggetto della decisione≫ con la conseguenza che se fosse il contemporaneo a dare la condizione a chi viene dopo, ≪questi dovrebbero credere in lui≫ divenendo oggetto di fede, ≪perche colui dal quale uno riceve la condizione, egli stesso e eo ipso oggetto di fede e Dio≫. Supposizione osserva Kierkegaard non percorribile.

Ma c'e un'altra di supposizione, quella che chi viene dopo, riceva da Dio anche la condizione, in questo caso ≪si ripresenta nuovamente la condizione socratica ma, attenzione!, all'interno della totale differenza (in quanto nessuno deve alcunche ad alcuno, ma socraticamente, tutto a se stesso e, cristianamente a Dio) costituita da quel fatto e dal rapporto del singolo (contemporaneo o posteriore) con Dio≫. Anche questa insensatezza, e impensabile se non ≪che ricercando quel fatto o dal rapporto del singolo con Dio che non puo essere pensato. La nostra supposizione ipotetica di quel fatto o del rapporto del singolo con Dio non contiene alcuna contraddizione e il pensiero puo cosi occuparsene come della cosa piu strana di tutte. Quella insensata conseguenza, invece, contiene un'autocontraddizione che non si accontenta di stabilire un'assurdita che e la nostra supposizione ipotetica, ma all'interno di questa assurdita non produce un'autocontraddizione che Dio e Dio per il contemporaneo e che questi, a sua volta sia Dio per un terzo≫

Ecco che il nostro progetto, osserva il filosofo enunciando un punto cardine della sua filosofia, e andato al di la di Socrate , ≪soltanto in quanto abbiamo messo Dio in rapporto con il singolo, ma chi si azzarderebbe ad avvicinarsi a socrate con una tale chiacchiera che un uomo sia Dio rispetto ad un altro uomo? No, come un uomo si rapporta a un altro, Socrate lo ha capito con un coraggio eroico che ha proprio bisogno di intrepidezza per essere capito. Eppure, si tratta di arrivare alla stessa comprensione all'interno di questo schema che abbiamo supposto che un uomo in quanto credente, non deve nulla a nessuno, ma tutto a Dio≫ Certo questa comprensione ammette Kierkegaard non e facile, non e facile conoscerla ≪(perche capirlo una volta per tutte senza pensare alle concrete obiezioni, cioe immaginarsi di averlo capito, non e difficile) lo si vede senza alcuna difficolta; e colui che vuole cominciare ad esercitarsi in questa comprensione, certamente avra modo di cadere abbastanza spesso in malintesi e, se vuole mettersi in contatto con gli altri, bisogna che faccia molta attenzione≫

Capito questo ragionamento, ad avviso di Kierkegaard si capisce anche che non si puo parlare di un discepolo di seconda mano ≪perche il credente (e soltanto lui, infatti, e il discepolo) ha sempre l'autopsia della fede, non vede con gli occhi degli altri, vede solo la stessa cosa che vede ogni credente: con gli occhi della fede.≫

E il contemporaneo? Non deve davvero avere nessuna influenza con "chi viene dopo"? Kierkegaard sviluppa a questo punto due punti basati su altrettante domanda a cui da risposta:

  • Che cosa puo fare, dunque, il contemporaneo per chi viene dopo?

a ) Deve raccontare a chi viene dopo ≪che lui stesso ha creduto a quel fatto e questa non e in alcun modo una comunicazione vera e propria (con questo si dice che non si da alcuna comunicazione immediata e che il fatto e basato su una contraddizione) ma soltanto un'occasione. Quando, infattim dico e accaduto questo o quest'altro, il mio racconto e storico; ma quando dico: "Io credo e ho creduto che questo e accaduto, benche cio sia per la ragione una follia e per il cuore uomano uno scandalo " con cio stesso io ho fatto proprio tutto per impedire che ogni altro si determini in continuita immediata con me, per evitarmi ogni compagnia perche ciascuno per conto suo deve esattamente comportarsi allo stesso modo≫
b ) Quindi puo ≪in questo modo raccontare il contenuto del fatto, contenuto che, in realta e solo per la fede, nello stesso senso dei colori che sono solo per la vista e del suono per l'udito. Puo farlo in questo modo; in ogni altro modo egli parlerebbe solo al vento e potrebbe forse indurre chi viene dopo a determinarsi in continuita con le chiacchiere≫.

  • In che senso la credibilta del contemporaneo puo interessare chi viene dopo?

Non se ha avuto fede veramente, come avra senza dubbio testimoniato di se stesso. Non e un argomento che riguarda chi viene dopo, osserva il filosofo, infatti non l'aiuta, non l'ostacola perche questi creda, non gli interessa. ≪Solo colui che riceve personalmente da Dio la condizione (che corrisponde esattamente a cio che si esige dall'uomo, di rinunciare alla propria ragione, e che, d'altra parte e l'unica autorita che corrisponde alla fede), egli solo crede. Se vorra credere (cioe, illudersi di credere) per il fatto che molti intellettuali della montagna [26] hanno creduto (cioe hanno detto di credere; perche di piu uno non puo controllare un altro, anche se questi, a causa della fede, sopportasse, sostenesse, soffrisse tutto≫

Ma puo forse la fede essere edificata sulla realta storica? Assolutamente no risponde Kierkegaard ≪Se il fatto di cui parliamo fpsse un semplice fatto storico, la precisione dello storico sarebbe molto importante. Ma non e il caso nostro, perche neppure dal piu raffinato dettaglio si puo distillare la fede. La realta storica che Dio e esistito in forma umana e la cosa principale, ogni altro dettaglio storico non ha neppure l'importanza che potrebbe avere se , anziche di Dio, si parlasse di un uomo≫ [27] Quindi l'enunciato della filosofia kikegaardiana su questo importante tema e cosi riassunto:

≪Se si volesse esprimere il rapporto di chi viene dopo con il contemporaneo nel modo piu concreto possibile, senza tuttavia sacrificare la verita alla brevita, allora si potrebbe dire: chi viene dopo crede per mezzo (occasione) del resoconto del contemporaneo in forza della condizione che egli riceve personalmente da Dio.≫

Quindi la conclusione e che non esiste un discepolo di seconda mano. ≪Da un punto di vista essenziale, il primo e l'ultimo sono uguali, solo che la generazione successiva ha nel resoconto di quella contemporanea l'occasione, mentre la contemporanea ce l'ha nella sua contemporaneita immediata e per questo non deve nulla ad alcuna generazione≫

In conclusione il filosofo cristiano termina la sua opera asserendo che e Dio stesso che riconcilia , dando a tutti i viventi di ogni generazione la possibilita di riconciliarsi con Lui. Dio non lascia alla potenza del tempo che decida per il singolo e cioe ≪per ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo≫.

  1. ^ Briciole di filosofia, ovvero Un poco di filosofia
  2. ^ Il docente e filosofo, Salvatore Spera nei commenti alla quarta di copertina di Briciole filosofiche , a cura di Salvatore Spera, Queriniana, Brescia 1987, 2004 (quarta edizione), ISBN 88-399-0669-X
  3. ^ Quarta di copertina di Søren Kierkegaard, op. cit.
  4. ^ Frase usata da Kierkegaard anche alla proposta di intervista della giornalista svedese Frederike Bremer (cfr. Papirer X1 A 558 - Briciole di filosofia , ed. cit., nota a p. 57).
  5. ^ Briciole di filosofia , ed. cit., p. 33.
  6. ^ Di mia iniziativa, con i miei mezzi, a mie spese
  7. ^ Qui Kierkegaard cita l'opera di Johan Ludvig Heiberg , Re Salomone e il cappellaio Giorgio
  8. ^ La nota del filosofo Spera spiega: E il concetto che 'salta' nel suo contrario e poiche le regole del pensiero sono per Hegel identiche alle regole dell'essere e l'uomo, finalmente, dice Kierkegaard, a essere 'saltato'
  9. ^ In ogni luogo, in nessun luogo
  10. ^ Briciole filosofiche , ed. cit., nota a p. 70.
  11. ^ La nota di Salvatore Spera, spiega: soffre per se stesso e gli altri .
  12. ^ Spera nota in questa dichiarazione di Kierkegaard una probabile allusione alla "filosofia della rivelazione" di Friedrich Schelling che pretendeva essere "positiva" (dell'esistenza) in confronto a quella hegeliana "negativa" (dell'essenza).
  13. ^ La nota di Spera fa rilevare che il riferimento e chiaramente polemico non solo verso Hegel , ma questa volta, anche verso Anselmo d'Aosta e il suo Cur Deus bomo .
  14. ^ Il curatore dell'opera Salvatore Spera, fa notare che ancora qui, Kierkegaard polemizza con la filosofia hegeliana e il relativo movimento dialettico: l'uomo sta (tesi), poi cade (antitesi), infine si rialza (sintesi). Stare e cadere sono i presupposti necessari del progredire
  15. ^ Qui in una nota dell'opera Kierkegaard cita le definizioni di Democrito e del filosofo dello scetticismo , Sesto Empirico , sull'uomo. Democrito: "L'uomo e tutto cio che tutti sappiamo, perche tutti sappiamo cos'e un cane, un cavallo, una pianta ecc., ma nulla di tutto cio e l'uomo". Sesto Empirico deduce che l'uomo e un cane, ma non sappiamo cosa e un cane.
  16. ^ cfr. Papirer [Carte], II C 22, 336.
  17. ^ Kierkegaard fa riferimento alla filosofia Scolastica fino a Wolff .
  18. ^ Kierkegaard fa riferimento alla Filosofia della Rivelazione di Friedrich Schelling .
  19. ^ Kierkegaard cita qui, Ethica del filosofo Baruch Spinoza : Per causam sui intelligo id, cuius essentia involvit existentiam, sive id cuius natura non potest concipi nisi existens ; Salvatore Spera fa notare che la critica all' a se esse e al quod cogitari non potest nisi existens di Spinoza era anticipata nelle lezioni berlinesi del filosofo idealista Friedrich Schelling .
  20. ^ Una nota del filosofo spiega: ≪Giustamente la nostra lingua chiama l'affetto sofferenza dell'animo, mentre spesso con l'uso della parola affetto pensiamo piuttosto all'audacia convulsa che ci stupisce e quindi dimentichiamo che e una sofferenza. Cosi, ad es., l'orgoglio, la diffidenza ecc.
  21. ^ Una nota di Kierkegaard spiega: E esatta, in questo senso, l'affermazione socratica che ogni peccato e ignoranza ( Senofonte , Memorabilia , III, 9, 4): esso non ha posto nella verita; cio non toglie che possa voler persistere nell'errore.
  22. ^ Una nota di Kierkegaard argomenta il concetto in questo modo: Ogni determinazione che pretendesse rendere Dio immediatamente conoscibile sarebbe senza dubbio una pietra miliare di approssimazione ma non in avanti, bensi all'indietro, non verso il paradosso, ma dal paradosso, indietro, verso Socrate e l'ignoranza socratica. Bisogna stare bene attenti perche non si vada nel mondo dello spirito come quel viandante al quale, in risposta alla sua domanda se quella via portava a Londra, un inglese disse: certo! Eppure non giunse a Londra, perche l'inglese non aveva detto: nell'altra direzione! Infatti stava proprio allontanandosi da Londra.
  23. ^ Kierkegaard cita qui Aristotele
  24. ^ Qui Kierkegaard continua a citare Aristortile in Interpretazione , 22A, 14 ss.
  25. ^ Kierkegaard allude alla commedia di Holberg, Sortilegio, o falso allarme .
  26. ^ Kierkegaard cita Erasmus montanus di Ludvig Holberg , IV, 2 dove cio che tutti gli intellettuali credono e che la terra sia piatta.
  27. ^ Briciole pag. 173
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