La
terza guerra d'indipendenza italiana
e un episodio del
Risorgimento
. Fu combattuta dal
Regno d'Italia
contro l'
Impero austriaco
dal 20 giugno
1866
al 12 agosto
1866
. Appartiene alla piu ampia
guerra austro-prussiana
, della quale rappresento il fronte meridionale. Ebbe origine dalla necessita dell'Italia di affiancare la
Prussia
nel tentativo comune di eliminare l'influenza dell'
Austria
sulle rispettive nazioni.
Dopo l'attacco della Prussia all'Austria del 15 giugno 1866, cosi come previsto dal trattato di
alleanza italo-prussiana
dell'aprile 1866, l'Italia dichiaro guerra all'Austria. Passato il confine, una parte dell'esercito italiano, comandata da
Alfonso La Marmora
, fu pero sconfitta nella
battaglia di Custoza
. Ne tale insuccesso fu bilanciato dagli eventi successivi, poiche ad esso segui per l'Italia un'altra sconfitta nella
battaglia navale di Lissa
. Fu invece una vittoria italiana la contestuale
avanzata di Giuseppe Garibaldi nel Trentino
, culminata nella
battaglia di Bezzecca
.
Nonostante le sconfitte di Lissa e Custoza, grazie agli accordi presi in precedenza e alla vittoria della Prussia sul fronte settentrionale, nonche all'intervento diplomatico della
Francia
, al termine della guerra l'Austria cedette formalmente alla Francia il
Veneto
(oltre a
Mantova
e a parte del
Friuli
), che fu girato all'Italia. Tale cessione fu poi confermata da un
plebiscito
.
L'Italia non annesse invece i territori conquistati nel Tirolo meridionale da Garibaldi, al quale, per porre fine alle ostilita e dare seguito agli accordi, re
Vittorio Emanuele II
chiese di cessare le operazioni militari. Garibaldi rispose con il celebre "
Obbedisco
". La terza guerra di indipendenza, che si concluse con l'
armistizio di Cormons
, fu il primo conflitto nel quale fu coinvolto il Regno d'Italia.
Quando il 17 marzo
1861
, a seguito dell'
impresa dei Mille
, il re di
Sardegna
Vittorio Emanuele II di Savoia
divenne
re d'Italia
, il processo di unificazione nazionale non poteva considerarsi definitivo. Da un lato, infatti, il
Veneto
, il
Trentino
e
Trieste
appartenevano ancora all'
Austria
e dall'altro
Roma
era nelle mani di
papa Pio IX
.
Il primo ministro
Cavour
mori il 6 giugno 1861 e il Re diede l'incarico di formare il nuovo governo a
Bettino Ricasoli
. Costui privilegio la “
Questione romana
” a quella veneta, poiche riteneva che fosse dalla
capitale pontificia
che il
brigantaggio
antiunitario traeva maggiore forza e alimento
[4]
.
Conscio che l'imperatore
Napoleone III di Francia
, protettore dello
Stato Pontificio
, non avrebbe ceduto sulla “Questione romana”, re Vittorio Emanuele II preferi dare la precedenza al problema di Venezia e riusci ben presto a sbarazzarsi di Ricasoli, che fu sostituito con
Urbano Rattazzi
il 3 marzo 1862
[5]
. Questa circostanza porto
Giuseppe Mazzini
e
Giuseppe Garibaldi
a sperare in una imminente azione contro l'Austria e a raccogliere volontari alla frontiera del
Tirolo
. Il governo, per mantenere l'ordine pubblico ed evitare premature ripercussioni internazionali, intervenne e fece arrestare i garibaldini
[6]
.
L'attenzione, allora, si concentro nuovamente su Roma. Nel 1862, infatti, Garibaldi sbarco in Sicilia e a luglio, arringando la folla a Palermo, attacco violentemente Napoleone III definendolo ≪un ladro, un rapace, un usurpatore≫, per terminare con ≪Va' fuori, Napoleone, va' fuori! Roma e nostra!≫. Il governo prese le distanze dalle invettive di Garibaldi e, quando quest'ultimo sbarco con un contingente in Calabria per risalire la penisola fino a Roma, invio il generale
Enrico Cialdini
con l'ordine di catturarlo. Il 29 agosto le truppe garibaldine si scontrarono con le truppe regolari sull'
Aspromonte
e Garibaldi, ferito ad una gamba, fu arrestato
[7]
.
La “Questione romana” fu di nuovo affrontata solo dal 21 giugno 1864, quando Napoleone III, desideroso di avvicinarsi all'Italia durante la
crisi tra Prussia e Austria per i ducati danesi
, propose lo sgombero delle proprie truppe da Roma. La condizione era che la capitale del Regno fosse spostata da
Torino
in un'altra citta, il tutto regolato in un trattato internazionale affinche gli italiani rinunciassero definitivamente a Roma. Il presidente del Consiglio
Marco Minghetti
, valutando positivamente lo sgombero dei francesi, accetto la proposta e riusci anche a convincere il Re
[8]
.
La cosiddetta
convenzione di settembre
tra l'Italia e
Francia
fu firmata a
Parigi
il 15 settembre
1864
. Con essa Napoleone III sgombrava Roma dalle sue truppe e gli italiani si impegnavano a rispettare l'integrita territoriale dello Stato Pontificio. Un articolo stabiliva il trasferimento della capitale del Regno da Torino a citta da stabilirsi.
Torino insorse
e il governo Minghetti cadde, ma i patti furono mantenuti, almeno per il momento, e la capitale fu trasferita a
Firenze
[9]
.
Ristabilita la fiducia nei rapporti con la Francia, si poteva ora affrontare la questione del Veneto.
Nello stesso periodo, il primo ministro prussiano
Otto von Bismarck
aveva deciso di muovere guerra all'Austria per ottenere la supremazia in
Germania
. Bismarck alla fine del luglio 1865 incarico il suo ambasciatore a Firenze, Karl von Usedom (1805-1884), di chiedere al capo del governo italiano
Alfonso La Marmora
che comportamento avrebbe avuto l'Italia nel caso di una guerra fra la
Prussia
e l'Austria. La Marmora volle sondare l'atteggiamento della Francia, che si dichiaro neutrale nell'eventuale conflitto
[11]
.
In attesa della risposta italiana, Bismarck, potendo contare sull'atteggiamento benevolo della
Russia
e sul disinteresse della
Gran Bretagna
, incontro Napoleone III a
Biarritz
fra il 4 e l'11 ottobre 1865. In quella occasione l'imperatore francese confermo che, in caso di crisi, non avrebbe concluso accordi con l'Austria. Alla fine di febbraio del 1866 il governo prussiano chiese a quello italiano uno scambio di alti ufficiali per trattare questioni militari. Per l'Italia fu incaricato della missione il generale
Giuseppe Govone
, che arrivo a
Berlino
il 10 marzo
[12]
.
Bismarck propose allora un accordo d'alleanza e la Francia lo appoggio. Quest'ultima assicuro inoltre l'Italia che, se l'Austria l'avesse attaccata, sarebbe intervenuta in suo soccorso. Cio convinse gli italiani a mettere da parte le riserve e l'8 aprile 1866 venne firmato a Berlino il trattato di alleanza. L'accordo prevedeva sostanzialmente che, se la Prussia avesse attaccato l'Austria, altrettanto avrebbe fatto l'Italia e che non si sarebbe potuto rifiutare l'armistizio se l'Austria avesse offerto il
Veneto
all'Italia
[13]
.
L'unico evento di rilievo accaduto fra la firma dell'alleanza e l'inizio delle ostilita contro l'Austria fu la notizia dei primi di maggio che il governo austriaco aveva proposto a Napoleone III la cessione del Veneto in cambio della neutralita francese e italiana. La regione sarebbe stata ceduta alla Francia (l'Austria si rifiutava di avere rapporti diplomatici con l'Italia), che l'avrebbe poi girata all'Italia. La Marmora rifiuto la proposta, soprattutto per lealta con la Prussia, ma anche perche Vienna legava la cessione del Veneto alla sua conquista della
Slesia
, circostanza che appariva improbabile
[14]
.
Il 1º giugno 1866, violando la
convenzione di Gastein
(che regolava la questione dei ducati danesi con la Prussia), l'Austria demando alla
Confederazione germanica
, che controllava, la decisione sui ducati. Il cancelliere prussiano Bismarck ordino allora l'occupazione militare del ducato dell'
Holstein
. Il 14, a sua volta, l'Austria, su richiesta della
Dieta
federale, mobilito l'esercito della Confederazione. La Prussia usci dalla Confederazione e il 15 invase la
Sassonia
. Era la
guerra
. Nel rispetto dell'
alleanza italo-prussiana
, l'Italia dichiaro guerra all'Austria il 20 giugno 1866; il 23 sarebbero iniziate le ostilita
[15]
.
Il fronte meridionale della
guerra austro-prussiana
prese il nome di terza guerra di indipendenza perche segui la
guerra regia
del
Regno di Sardegna
contro l'
Austria
del 1848-1849 (
prima guerra di indipendenza
) e il conflitto del Regno di Sardegna e della
Francia
contro l'Austria del 1859 (
seconda guerra di indipendenza
).
Con l'ampliamento dei confini del Regno di Sardegna e la proclamazione del
Regno d'Italia
le vecchie 5
divisioni
piemontesi divennero le 20 italiane, appoggiate da circa 40.000 uomini del
Corpo Volontari Italiani
guidati da
Giuseppe Garibaldi
. Gli squadroni di cavalleria da 36 passarono a 100 e furono adeguatamente sviluppati il
Genio
e i servizi. Rimasero tuttavia alcune mancanze del vecchio esercito, fra cui l'artiglieria poco numerosa. Soprattutto una deficienza parve grave: quella dei quadri intermedi. Nelle 3 nuove divisioni lombarde pochissimi ufficiali austriaci passarono all'esercito italiano, per cui si provvide promuovendo sottufficiali o immettendo in esse volontari. Lo stesso si verificava nelle schiere provenienti dalle vecchie legazioni pontificie; mentre un altro problema scaturiva dalla eterogeneita: si andava dagli ufficiali provenienti dall'ex esercito borbonico a quelli provenienti dalle file garibaldine. Quanto alla organizzazione dello
stato maggiore
, essa era rimasta allo stato embrionale e anche l'addestramento delle truppe risultava carente
[16]
.
Le 20 divisioni italiane erano riunite in 4 corpi d'armata. 3 corpi di 4 divisioni ciascuno lungo il fiume Mincio e un grosso corpo d'armata di 8 divisioni in Romagna, lungo il tratto finale del fiume Po. Si trattava di una forza che oscillava dai 190.000 a 200.000 combattenti di fanteria, 10.500 cavalleggeri e 462 cannoni; alla quale bisognava aggiungere 38.000 volontari garibaldini. Una forza notevole, quindi, ma in una posizione strategicamente inferiore rispetto a quella degli austriaci che possedevano le
fortezze del Quadrilatero
dalla parte del
Mincio
e una zona protetta dal
Po
, canali, paludi e dall'
Adige
dalla parte di
Ferrara
[1]
.
Da parte austriaca si era cercato di sanare le mancanze emerse nella
seconda guerra di indipendenza
. L'artiglieria era stata resa piu mobile e la cavalleria piu preparata al servizio di esplorazione. Grandi cure erano state dedicate ai servizi e l'addestramento della fanteria riveduto
[17]
.
Dei 10 corpi d'armata dell'Impero austriaco, 3 si trovavano sul teatro di guerra meridionale. A queste forze bisognava aggiungere quelle dei presidi delle fortezze del Quadrilatero e le forze della difesa del
Tirolo
, in parte volontarie. Cosicche le forze austriache che il fronte meridionale del conflitto vincolava ammontavano a 190.000 uomini, anche se in campo l'Austria poneva solo 61.000 combattenti, con 152 cannoni e 3.000 cavalleggeri, a cui si dovevano aggiungere 11.000 uomini della divisione di riserva creata all'ultimo momento attingendo dai presidii delle fortezze
[2]
. Comandante dell'armata in Italia era l'arciduca
Alberto d'Asburgo-Teschen
.
La
Prussia
voleva colpire al cuore l'avversario trascurando le operazioni secondarie e puntare da nord sul
Danubio
e
Vienna
. Analogamente chiese all'esercito italiano di avanzare risolutamente e giungere con il grosso delle forze a
Padova
. Da qui le divisioni avrebbero proseguito verso l'
Isonzo
, appoggiate dalla flotta e sostenute sul fianco destro dell'avanzata da una spedizione di
Garibaldi
in
Dalmazia
e dall'insurrezione ungherese che sarebbe stato opportuno provocare
[18]
.
La proposta prussiana si scontro, oltre che con le carenze della flotta italiana, soprattutto con la mancanza di unita di comando dell'esercito. Comandante supremo era re Vittorio Emanuele II e suo capo di stato maggiore Alfonso La Marmora (che aveva lasciato la carica di presidente del Consiglio a
Bettino Ricasoli
), ma l'esercito era diviso in due masse: per agire dal Mincio e dal basso Po. Fautore dell'azione dal Po era il generale
Enrico Cialdini
, che esigeva la massima autonomia e al quale fu affidata l'impresa di attaccare gli austriaci da sud con le 8 divisioni presso
Ferrara
. Mentre La Marmora, sostenitore dell'azione dal Mincio, comandava, di fatto, solo le altre 12 divisioni
[19]
.
La composizione delle forze italiane era quindi la seguente. Alfonso La Marmora sul Mincio dirigeva:
- Il 1º Corpo d'armata, al comando di
Giovanni Durando
e formato dalla 1ª Divisione di
Enrico Cerale
, dalla 2ª Divisione di
Giuseppe Salvatore Pianell
(ex generale borbonico), dalla 3ª Divisione di
Filippo Brignone
, dalla 5ª Divisione di
Giuseppe Sirtori
(ex garibaldino) e dalla 1ª Brigata di cavalleria di Alibardi Ghilini;
- Il 2º Corpo d'armata, al comando di
Domenico Cucchiari
(toscano) e formato dalla 4ª Divisione di
Alessandro Nunziante
(ex borbonico), dalla 6ª Divisione di
Enrico Cosenz
(ex borbonico ed ex garibaldino), dalla 10ª Divisione di
Diego Angioletti
(toscano), dalla 19ª Divisione di Longoni e da una brigata di cavalleria;
- Il 3º Corpo d'armata, al comando di
Enrico Morozzo Della Rocca
e formato dalla 7ª Divisione di
Nino Bixio
(ex garibaldino), dalla 8ª Divisione di
Efisio Cugia
, dalla 9ª Divisione di
Giuseppe Govone
, dalla 16ª Divisione di
Umberto di Savoia
(principe ereditario) e da una brigata di cavalleria
[20]
.
Enrico Cialdini, sul basso Po, comandava invece Il 4º Corpo d'armata, formato dalla 11ª Divisione di
Alessandro Avogadro di Casanova
, dalla 12ª Divisione di
Cesare Francesco Ricotti-Magnani
, dalla 13ª Divisione di
Luigi Mezzacapo
(ex borbonico), dalla 14ª Divisione di
Emanuele Chiabrera Castelli
, dalla 15ª Divisione di
Giacomo Medici
(ex garibaldino), dalla 17ª Divisione di
Raffaele Cadorna
, dalla 18ª Divisione di Della Chiesa, dalla 20ª Divisione di
Paolo Franzini Tibaldeo
[21]
, dalla Divisione di cavalleria di
Maurizio Gerbaix de Sonnaz
, da due brigate di cavalleria, da una brigata di artiglieria a cavallo e da altre unita minori
[22]
.
Il
Corpo Volontari Italiani
formato da 40.000 uomini, prettamente volontari supportati dall'artiglieria, genio, trasmissioni, marinai della Flottiglia del Garda e Carabinieri Reali del Regio esercito, al comando di
Giuseppe Garibaldi
con il quartier generale dapprima a Brescia poi a
Salo
, operante sul confine tra la Lombardia, il Trentino e il Veneto, dalla Valtellina,
Valle del Chiese
,
Val Vestino
fino al
Lago di Garda
a
Desenzano del Garda
, con l'obiettivo di penetrare nella
Valle dell'Adige
attraverso la direttrice delle
Giudicarie
, alle spalle delle forze austriache impegnate nella pianura, e attaccare poi la
fortezza di Trento
[23]
.
Le unita da campo dell'
arciduca Alberto
erano le seguenti:
- 5º Corpo d'armata, comandato da Gabriel Joseph Freiherr von Rodich (1812-1890) con 3 brigate;
- 7º Corpo d'armata, comandato da Joseph Freiherr von Maroi?i? di Madonna del Monte (1812-1882) con 3 brigate;
- 9º Corpo d'armata, comandato da Ernst Ritter von Hartung (1808-1879) con 3 brigate;
- Divisione di fanteria di riserva, comandata da Rupprecht con 2 brigate;
- Riserva di cavalleria con 2 brigate;
- Corpo del Tirolo, con l'8ª Divisione
[24]
, comandato da
Franz Kuhn von Kuhnenfeld
[25]
[26]
.
Alfonso La Marmora
(a sinistra) era formalmente il comandante dell'esercito italiano, ma
Enrico Cialdini
(a destra) aveva ottenuto per la sua armata sul basso Po la completa autonomia.
La dichiarazione di guerra italiana
La dichiarazione di guerra da parte italiana, riportata sulla
Gazzetta Ufficiale
il 20 giugno 1866
[27]
.
Comando in capo dell'
Esercito Italiano
- Dal quartier generale di
Cremona
, 20 giugno 1866
L'Impero Austriaco ha piu d'ogni altro contribuito a tenere divisa ed oppressa l'Italia, e fu cagione principale degli incalcolabili danni materiali e morali che da molti secoli ha dovuto patire. Oggi ancora che ventidue milioni di Italiani si sono costituiti in Nazione, l'Austria, sola fra i Grandi Stati del mondo civile, si rifiuta a riconoscerla. Tenendo tuttora schiava una delle piu nobili nostre provincie, trasformatala in un vasto campo trincerato, di la minaccia la nostra esistenza, e rende impossibile il nostro svolgimento politico interno ed esterno. Vani riuscirono in questi ultimi anni i tentativi e i consigli di Potenze amiche per rimediare a questa incompatibile condizione di cose. Era quindi inevitabile che l'Italia e l'Austria si trovassero a fronte al primo manifestarsi di qualche complicazione europea.
La recente iniziativa dell'Austria ad armare e la ripulsa che oppose alle pacifiche proposte di tre grandi Potenze, mentre fecero palese al mondo quanto fossero ostili i suoi disegni, commossero l'Italia da un capo all'altro.
Ond'e che S. M. il Re, custode geloso dei diritti del suo popolo e difensore dell'integrita nazionale, si sente in dovere di dichiarare la guerra all'Impero Austriaco.
D'ordine quindi del prelato Augusto mio Sovrano, significo a V. A. I., qual comandante le troppe austriache nel Veneto, che le ostilita avranno principio dopo tre giorni dalla data della presente; a meno che V. A. I., non volesse aderire a questa dilazione, nel qual caso la pregherei di volermelo significare.
[28]
Il 16 giugno
1866
la Prussia apri le ostilita contro la
Sassonia
, l'
Hannover
e l'
Elettorato d'Assia
che si erano schierati con l'Austria. Gli italiani, invece, rimasero in attesa fino al 23. Il giorno dopo l'entrata in guerra della Prussia, Alfonso La Marmora lascio la capitale Firenze per recarsi a
Cremona
quale capo di stato maggiore, ma si fermo a
Bologna
per incontrare il generale
Cialdini
. Le conclusioni del colloquio non sono note. Entrambi probabilmente furono d'accordo che, dato il terreno, l'ipotesi di un sincronismo delle due armate fosse da scartare. Di conseguenza, una delle due avrebbe fatto un'azione dimostrativa e l'altra un'azione risolutiva
[29]
.
I due generali non si chiarirono bene. Cialdini credette accolta la sua proposta di limitare l'azione di La Marmora sul Mincio ad una dimostrazione, per poi attaccare lui risolutamente gli austriaci. La Marmora, probabilmente, credette convenuto che l'azione sul Mincio avrebbe potuto avere carattere autonomo
[30]
.
Fatto sta che in una lettera privata del 19 giugno 1866 al ministro della Guerra
Ignazio Pettinengo
, La Marmora scrisse che il ≪progetto Cialdini≫ sarebbe riuscito
[31]
. Cosi come il 21 giugno Cialdini da Bologna telegrafo di aver bisogno per passare il Po di una ≪seria dimostrazione≫; il che vuol dire che riservava a se l'azione principale. La Marmora rispose che avrebbe agito energicamente per attrarre su di se il nemico, senza parlare pero di “dimostrazione”, e cio significa che non si adattava a fare la parte secondaria. Cialdini annuncio pure che non avrebbe potuto iniziare il passaggio del Po che nella notte tra il 25 e il 26 giugno chiedendo che la vigorosa azione dimostrativa avesse luogo il 24. Solo il 23, quindi, l'armata del Mincio di La Marmora si mise in moto e inizio a passare il fiume a
Valeggio
e
Goito
[32]
.
Dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia all'Austria del 20 giugno 1866, l'
arciduca Alberto
, temendo che gli italiani puntassero al medio corso dell'
Adige
da ovest, dispose per il 24 che tutta l'armata si portasse, dall'area di
Verona
e di
Peschiera
, a ovest e sud per occupare la
zona collinare morenica
che inizia da
Sommacampagna
per estendersi a occidente verso il
Mincio
. Da li l'armata avrebbe dovuto attaccare il nemico sul fianco sinistro
[33]
.
Da parte italiana si erano avute notizie di movimenti da Verona, ma esse non erano state trasmesse al comando supremo. Tutti erano persuasi, quindi, che gli austriaci si tenessero sulla difensiva, dietro l'Adige. Per il 24 giugno La Marmora dispose per il 1º Corpo di
Durando
che la 2ª Divisione (
Pianell
) rimanesse dietro il Mincio a sorvegliare Peschiera, e le altre 3 avanzassero oltre il fiume: la 1ª Divisione (
Cerale
) a circuire Peschiera dalla riva sinistra del Mincio, e le altre due a conquistare la zona collinare obiettivo anche degli austriaci e avvicinarsi a Verona. Al centro il 3º Corpo di
Della Rocca
avrebbe occupato sia l'orlo collinare orientale (da Sommacampagna a
Custoza
), sia la sottostante piana di
Villafranca
. Infine, all'ala destra dell'armata di La Marmora, il 2º Corpo di
Cucchiari
, doveva passare il Mincio con 2 divisioni in modo da aggirare
Mantova
da nord e con altre 2 divisioni dispiegarsi da
Curtatone
a
Borgoforte
sul Po, 13 km a sud di Mantova. Complessivamente lo schieramento italiano si presentava piuttosto discontinuo, troppo esteso e con scarse riserve
[34]
.
Delle 12 divisioni di La Marmora solo 6 si vennero a trovare di fronte al nemico che, compatto e meglio diretto, avanzava verso di loro: 50.000 soldati italiani contro 70.000 dell'arciduca Alberto
[35]
.
Il 24 giugno 1866, sotto
Peschiera
l'avanguardia della 5ª Divisione (
Sirtori
) del 1º Corpo d'armata incontro poco dopo le 6 elementi avversari e continuo ad avanzare fino a Oliosi (oggi frazione di
Castelnuovo del Garda
) dove si accese un aspro combattimento. Intervenne la 1ª Divisione (Cerale) che respinse gli austriaci e avanzo oltre Oliosi. Ma gli austriaci contrattaccarono con forze sempre piu numerose. Da parte italiana mori il generale Onorato Rey di Vallerey, comandante della Brigata “Pisa” della 1ª Divisione, e lo stesso Cerale rimase gravemente ferito. Dopo 4 ore di combattimenti la 1ª Divisione era in rotta, ma il comandante del 1º Corpo,
Durando
, impiegando le sue riserve fece occupare la collina del Monte Vento (un'altura a ovest separata dal complesso morenico) bloccando l'avanzata austriaca. Alle 6,30 La 5ª Divisione nella sua avanzata verso Santa Lucia del Tione (fra Oliosi a nord e
Custoza
a sud) respinse il nemico continuando ad avanzare. Ma anche qui gli austriaci si fecero sempre piu numerosi e si susseguirono attacchi e contrattacchi: le due divisioni italiane, che combattevano separate, disponevano complessivamente di 16.000 uomini e 24 cannoni, contro i 32.000 uomini e i 64 pezzi del 5º Corpo e della divisione di riserva austriaci
[38]
[39]
.
Al centro dello schieramento italiano, intanto, erano avanzate in pianura la 7ª Divisione (
Bixio
) e la 16ª (
Umberto di Savoia
) del 3º Corpo d'armata. Entrambe fra le 6,30 e le 7 si erano spinte fuori
Villafranca
dove erano state attaccate da una brigata di cavalleria austriaca che alle 9,30 veniva definitivamente respinta subendo gravi perdite. Alla loro sinistra la 3ª Divisione (
Brignone
) del 1º Corpo veniva deviata da La Marmora e occupava le colline di Monte Torre e Monte Croce (a nord-est di Custoza): verso le 9 subiva un violento attacco del 9º Corpo austriaco che veniva respinto con gravi perdite. Inizio allora una serie di attacchi e contrattacchi durante i quali fu ferito all'addome
Amedeo di Savoia
(terzogenito di Vittorio Emanuele II) comandante della Brigata “Granatieri di Lombardia” della 3ª Divisione. Anche qui, nella parte orientale della zona collinare, le forze austriache aumentarono e dopo 2 ore di lotta accanita, la divisione di Brignone venne sopraffatta. Dopo il successo, gli austriaci pero ripiegarono lasciando 2 soli battaglioni a Monte Torre e a Monte Croce; e allora elementi della 8ª Divisione (
Cugia
), appena sopraggiunti, riconquistarono verso le 10,30 le due colline. A quest'ora la battaglia ebbe una sosta: a nord (ala sinistra dello schieramento italiano) gli austriaci erano stati fermati davanti a Monte Vento e al ciglione di Santa Lucia sul Tione, e al centro le posizioni a nord-est di Custoza erano state riconquistate
[40]
[41]
.
Intorno alle 11, alla sinistra dello schieramento italiano, il generale
Pianell
della 2ª Divisione, che aveva avuto l'ordine di rimanere in osservazione di
Peschiera
, accortosi della situazione critica del resto del 1º Corpo, prese l'iniziativa e con la Brigata “Aosta” attacco le forze austriache che cercavano di aggirare Monte Vento da nord e raggiungere Valeggio per avvolgere gli italiani. L'intervento di Pianell fu risolutivo: gli austriaci si arrestarono e ripiegarono a nord su Salionze. Intorno a
Monzambano
, inoltre, reparti della Brigata “Siena” della stessa 2ª Divisione intrappolarono e catturarono circa 600 soldati nemici
[44]
.
Durando, nel frattempo, era stato ferito ad una mano e lascera a Pianell il comando del 1º Corpo verso le 14. Intanto a Santa Lucia la 5ª Divisione (
Sirtori
) contrattaccava e ripassava il
Tione
, e alle 11,30 le alture di Custoza venivano riprese dalla 9ª Divisione (
Govone
) del 3º Corpo e dai resti della 3ª Divisione (Brignone). Il generale Govone chiese invano rinforzi al suo comandante
Della Rocca
che disponeva di 2 divisioni in pianura (7ª e 16ª), ma che aveva anche ricevuto l'ordine di La Marmora di ≪tener saldamente Villafranca≫. Alle 14,30 la 5ª Divisione veniva di nuovo attaccata da forze soverchianti del 5º Corpo austriaco che alle 15 conquistarono Santa Lucia e poi Monte Vento. L'
arciduca Alberto
, preparo allora l'attacco finale contro Custoza dove resisteva la 9ª Divisione di Govone. Costui alle 16 ne avverti Della Rocca che rispose di volersi mettere in contatto con La Marmora. Alla stessa ora venne sferrato l'attacco risolutivo da parte del 7º Corpo e parte del 9°: 15.000 austriaci avanzarono contro 8 o 9.000 italiani, che, a causa della disorganizzazione, erano digiuni dal giorno prima. Cadde dapprima il Monte Croce, quindi il cerchio inizio a chiudersi su Govone, che rimase ferito. Alle 17,00 Custoza era perduta, ma i difensori continuarono a combattere fin quasi alle 19,00
[45]
[46]
.
Govone riusci a ritirarsi e portare la sua divisione a
Valeggio
, dove giunse a mezzanotte. Le altre 3 divisioni del 3º Corpo italiano ripiegarono su
Goito
protette dalla 7ª Divisione (Bixio) che dopo le 18 respinse vari attacchi di cavalleria e solo alle 21,30 abbandono Villafranca. Gli austriaci, spossati, con gravi perdite, non inseguirono il nemico. L'arciduca Alberto, nel suo rapporto sulla battaglia scrisse:
≪Non si puo negare all'avversario la testimonianza d'essersi battuto con tenacia e valore. I suoi primi attacchi specialmente erano vigorosi, e gli ufficiali, lanciandosi avanti, davano l'esempio.≫
Quanto alle perdite, gli italiani contarono 714 morti e 2.576 feriti; gli austriaci 1.170 morti e 3.984 feriti. Ma i dispersi e i prigionieri italiani furono 4.101, mentre quelli austriaci furono 2.802
[48]
.
La
sconfitta di Custoza
non fu di per se grave, lo divenne per gli avvenimenti successivi. Il capo di stato maggiore
La Marmora
ritenne il 1º Corpo e una parte del 3° non piu in grado di ricostituirsi, paventando l'ipotesi di una manovra aggirante degli austriaci da nord oltre il
Mincio
. Di conseguenza fece saltare tutti i ponti sul fiume e ordino per la sua armata un ripiegamento fino al basso
Oglio
. Vittorio Emanuele II, intanto, nel pomeriggio del 24 giugno, mentre ancora a Custoza si combatteva, aveva telegrafato al comandante delle forze sul Po,
Cialdini
, di passare immediatamente all'azione avanzando, ma questi gli rispose che l'avrebbe fatto l'indomani, secondo i piani prestabiliti
[47]
.
Il 25 giugno Cialdini, ancora indeciso, ricevette nel pomeriggio il telegramma di La Marmora: ≪Austriaci gittatisi con tutte le forze contro corpi Durando e La Rocca li hanno rovesciati. Non sembra finora inseguano. Stia quindi all'erta. Stato armata deplorevole, incapace agire per qualche tempo, 5 divisioni essendo disordinate≫. A questo punto Cialdini rinuncio definitivamente a passare il Po, iniziando a sua volta la ritirata della sua armata sulla sponda sinistra del fiume
Panaro
. Il 26 mattina, La Marmora chiese a Cialdini di non abbandonare le sue posizioni ricevendone un rifiuto. Il capo di stato maggiore diede allora le dimissioni che sia il Re che il governo respinsero. Dopo un incontro fra i due generali, avvenuto il 29 giugno, finalmente Cialdini decise essere venuto il momento di passare il Po, non prima, tuttavia, di aver espugnato la testa di ponte austriaca di
Borgoforte
(sul fiume, 10 km a sud di Mantova). Il 5 luglio inizio l'assedio della fortezza che, contrariamente alle previsioni, si protrasse fino al 18 luglio
[49]
.
All'inizio delle ostilita, dei 10 reggimenti previsti di volontari,
Garibaldi
non ne aveva disponibili che 4. Tuttavia aveva occupato le posizioni di Monte Suello (comune di
Bagolino
) e
Ponte Caffaro
, al limite del confine bresciano con il
Tirolo
(oggi le
Giudicarie
del Trentino occidentale), allo scopo di penetrare maggiormente in territorio asburgico. Dopo aver respinto anche un attacco austriaco nella
Battaglia di Ponte Caffaro
, il 25 giugno sera, pero, Garibaldi ricevette da La Marmora un telegramma con l'annuncio che l'esercito ripiegava e che gli si ordinava di abbandonare le posizioni per proteggere
Brescia
e le altre citta che si fossero trovate in pericolo
[50]
.
Ricevuti alla fine del mese altri 3 reggimenti, Garibaldi, pur continuando a coprire Brescia, il 2 luglio 1866 si mosse e, il 3 luglio, nella
battaglia di Monte Suello
riconquisto le posizioni abbandonate. Le perdite fra i suoi uomini furono gravi e rimase ferito egli stesso. Il giorno dopo invece, il 4 luglio, nella
battaglia di Vezza d'Oglio
i garibaldini ebbero uno scontro nel quale furono sconfitti; e solo il 5, dal lato del Trentino, si iniziarono le operazioni vere e proprie. Le azioni cominciarono pero nel territorio montuoso delle Giudicarie e Garibaldi non pote, almeno in un primo tempo, ottenere successi clamorosi
[51]
.
Tra varie difficolta dovute alla impreparazione delle strutture, alla carenza di equipaggi addestrati e di armamenti, aveva avuto luogo anche la mobilitazione della
flotta italiana
. Data l'arretratezza dell'industria cantieristica italiana, le navi piu moderne erano state ordinate in vari cantieri europei e statunitensi, tranne la fregata corazzata
Principe di Carignano
, e quasi tutte tranne la
classe Regina Maria Pia
risultavano poco adatte ad essere impiegate come unita di squadra
[52]
[53]
.
Il 3 maggio 1866 il
generale
Diego Angioletti
, ministro della Marina, aveva comunicato al
contrammiraglio
Giovanni Vacca
, comandante la Squadra d'evoluzione con
base
a
Taranto
, che il governo aveva decretato di costituire un'Armata d'operazioni al cui comando era destinato l'
ammiraglio
Carlo Pellion di Persano
. L'Armata sarebbe stata articolata su tre squadre, ovvero una squadra da battaglia composta da
fregate
corazzate, al comando di Persano; una squadra sussidiaria composta da fregate e
corvette
ad elica, e una squadra d'assedio di legni corazzati minori. Il
viceammiraglio
Giovan Battista Albini
e il contrammiraglio Vacca sarebbero stati agli ordini di Persano
[54]
[55]
.
Dopo la sua nomina, Persano era giunto ad
Ancona
il 16 maggio 1866 e si era presto reso conto della situazione di impreparazione della flotta: dal 18 al 23 e poi il 30 maggio aveva informato Angioletti dell'impossibilita di approntare la flotta in tempi brevi. Poi, non avendo ottenuto nulla, aveva cercato, dopo aver considerato l'eventualita di dimettersi, di preparare la flotta nei limiti del possibile compiendo alcune manovre di squadra
[56]
.
L'8 giugno l'ammiraglio ricevette le prime disposizioni per l'imminente apertura delle ostilita. Esse ordinavano di neutralizzare la
flotta austriaca
, stabilire ad Ancona la base operativa, e non attaccare
Trieste
e
Venezia
. Non era chiaro pero chi avrebbe dovuto impartire ordini a Persano, se il generale Alfonso La Marmora, capo di stato maggiore generale, ma interessato alle sole operazioni di terra, oppure il ministro della Marina Angioletti
[57]
.
La flotta austriaca era per contro piu piccola, ma con navi costruite tutte da cantieri nazionali e con uniformita di materiali, secondo esperienze acquisite in combattimento, visto che una squadra austriaca aveva partecipato nel 1864 alla
seconda guerra dello Schleswig
, nella quale le forze navali della Confederazione austro-tedesca, in sostanza la marina austriaca, avevano sconfitto le navi danesi impedendo il blocco navale dei porti tedeschi. L'addestramento degli equipaggi era uniforme, assicurato dalla Scuola Navale di Venezia, mentre l'unico dipartimento marittimo ed arsenale, a
Pola
, si appoggiava per l'addestramento alla vicina baia di
Lussino
, ed i comandanti erano ben amalgamati
[58]
[59]
.
Comandava la flotta austriaca
Wilhelm von Tegetthoff
. Costui aveva guidato le navi nel 1864 contro i danesi rivelando elevata capacita decisionale, ed era, a differenza di Persano, confortato dalla fiducia dei suoi ufficiali e dei suoi marinai
[60]
.
Il 20 giugno 1866, giorno della dichiarazione di guerra all'Austria, con l'insediamento del
secondo governo Ricasoli
, Angioletti fu sostituito nel ruolo di ministro della Marina da
Agostino Depretis
, che ordino a Persano di spostarsi con la flotta, concentrata principalmente nel porto di Taranto, ad Ancona. Lo stesso 20 giugno La Marmora si limito ad invitare l'ammiraglio ad entrare nell'
Adriatico
[57]
.
La flotta italiana lascio Taranto nella mattinata del 21 giugno, fu raggiunta da
Formidabile
e
Terribile
(che le vennero incontro da Ancona per rafforzare la squadra) nelle acque di
Manfredonia
e giunse ad Ancona nel pomeriggio del 25 giugno. La navigazione di trasferimento avvenne ad una velocita di soli 5 nodi, per non sforzare troppo le macchine (ma cio non elimino del tutto le avarie)
[57]
.
Dato che il
porto di Ancona
non era in grado di ricoverare che poche unita, parte della flotta dovette ormeggiarsi a boe nella
rada
, procedendo poi alle operazioni di rifornimento di carbone che furono ostacolate da incendi sulla
Re d'Italia
e sulla
Re di Portogallo
[61]
. Venne inoltre stabilito che molte unita minori avrebbero ceduto parte della propria artiglieria alle unita corazzate, in modo da dotare queste ultime del maggior numero possibile di moderni cannoni a canna rigata da 160 mm.
[62]
Trasferitasi la flotta italiana ad Ancona, all'alba del 27 giugno 1866, l'avviso a ruote
Esploratore
individuo una squadra austriaca in avvicinamento. Persano riusci a racimolare 9 unita corazzate da mandare in avanscoperta, il cui potenziale, per un motivo o per l'altro, era ridotto ad un terzo. Verso le 6,30, il comandante austriaco Tegetthoff si rese conto della presenza di numerose navi nemiche, delle quali ignorava l'efficienza. La
Kaiserin Elisabeth
, in testa alla squadra austriaca, si trovo alla portata di tiro della
Regina Maria Pia
che, per ordine di Persano, non apri il fuoco
[63]
.
Allontanatasi la squadra austriaca, si tenne sulla
Principe di Carignano
un consiglio al quale parteciparono Persano, d'Amico, Vacca e altri due ufficiali. Si decise che, considerato lo stato delle navi, sarebbe stato meglio non inseguire il nemico, rientrare ad Ancona e riprendere il mare una volta che la squadra fosse stata rimessa in efficienza
[63]
.
Persano istitui allora un capillare servizio di sorveglianza e contemporaneamente prosegui i tentativi di portare la flotta ad un livello di efficienza accettabile. Con questa impostazione concordo il ministro della Marina Depretis che con una lettera del 4 luglio, esortando ad una ≪vigile difensiva≫, ribadi il pensiero del presidente del Consiglio Ricasoli di ≪non impegnare la flotta che colla sicurezza della vittoria≫
[64]
.
Intanto, nel piu ampio contesto della
guerra austro-prussiana
, dopo aver eliminato le forze di molta parte degli Stati minori alleati dell'
Austria
, l'
esercito prussiano
con 3 armate invadeva la
Boemia
, ottenendo il 3 luglio 1866 una clamorosa vittoria nella
battaglia di Sadowa
. Il giorno dopo l'Austria chiese la mediazione di
Napoleone III
offrendogli il Veneto, a patto che l'
Italia
si ritirasse dalla guerra
[65]
.
Napoleone III accetto la richiesta austriaca e il 5 luglio Vittorio Emanuele II ricevette il telegramma dell'Imperatore francese che gli annunciava la cessione del Veneto per mettere fine al conflitto. Il capo di stato maggiore Alfonso La Marmora considero umiliante la proposta di ricevere Venezia come dono dalla
Francia
e nello stesso tempo prospetto il pericolo per l'Italia di essere accusata di tradimento per aver abbandonato la
Prussia
[66]
. Anche il presidente del Consiglio
Ricasoli
era contrario a riconoscere la cessione dall'Austria alla Francia del Veneto, cosa che avrebbe tolto all'esercito italiano il diritto di conquistarlo
[65]
.
La Prussia, al contrario, pur continuando le operazioni accetto di trattare, anche perche erano in arrivo rinforzi austriaci dall'Italia: l'
arciduca Alberto
, aveva infatti avuto l'ordine di far partire uno dei tre corpi alla volta del fronte prussiano. Spronato da La Marmora con un telegramma del 6 luglio,
Cialdini
nella notte passo il Po entrando l'11 a
Rovigo
sgombra degli austriaci rimasti, che ebbero l'ordine di abbandonare il Veneto e attestarsi al confine con la madrepatria. Mutata la situazione internazionale con la battaglia di Sadowa e la proposta austro-francese, occorreva ora all'Italia una vittoria per recuperare velocemente il prestigio perso a Custoza. L'ammiraglio
Persano
ricevette il 6 luglio un incitamento del ministro
Depretis
ad agire: ≪Tenersi piu che mai all'idea di combattere e di ricercare la flotta austriaca e di attaccarla≫. Ma l'ammiraglio Persano tergiversava, in attesa dell'”ariete corazzato”
Affondatore
in arrivo dai cantieri britannici
[67]
.
Il 12 luglio il primo ministro prussiano
Bismarck
si lamento della debole condotta bellica dell'Italia con i francesi e lo stesso giorno Ricasoli telegrafo al ministro degli Esteri
Emilio Visconti Venosta
, al Re e a Cialdini facendo presente che bisognava che l'esercito e la flotta agissero e che occorreva occupare
Trento
e
Trieste
. Il 13 si ebbe un importante colloquio a
Polesella
fra Ricasoli e Cialdini, al quale fece seguito un consiglio di guerra
[68]
.
Il consiglio di guerra si riuni il 14 luglio 1866 a Ferrara. Fu presieduto da Vittorio Emanuele II, presenti il presidente del Consiglio Ricasoli, il ministro degli Esteri
Visconti Venosta
, il ministro della Guerra
Pettinengo
, il ministro della Marina Depretis, il capo di stato maggiore La Marmora e il generale Cialdini. Il consiglio ratifico quanto stabilito alla riunione di Polesella:
- Cialdini avrebbe guidato autonomamente un'armata di 14 divisioni con l'incarico di procedere a marce forzate verso l'
Isonzo
e, nel caso, verso
Vienna
;
- La Marmora con 6 divisioni avrebbe mantenuto il blocco delle
fortezze del Quadrilatero
operando l'assedio di Verona, avrebbe anche inviato una divisione in
Valsugana
per appoggiare Garibaldi nella conquista del
Trentino
(Tirolo meridionale);
- Garibaldi, conquistato il Trentino, avrebbe dovuto portarsi a Trieste per muovere di la e sollevare contro gli austriaci la
Croazia
e l'
Ungheria
;
- Persano sarebbe stato avvisato che se entro 8 giorni non avesse attaccato la flotta austriaca, sarebbe stato destituito
[68]
.
In Veneto
Cialdini
avanzo rapidamente non trovando piu ostacoli davanti a se. Anche
Garibaldi
comincio ad avanzare lungo l'alta valle del
fiume Chiese
, verso
Lardaro
, in Trentino, respingendo il 14 luglio 1866 una controffensiva austriaca nella
battaglia di Condino
. Nonostante fosse ferito, e non avesse piu con se i collaboratori di una volta (confluiti nell'esercito regolare), Garibaldi tra il 16 e il 19 vinse l'
Assedio del Forte d'Ampola
che gli consenti di conquistare una forte posizione austriaca. Quindi i suoi uomini si fecero strada verso
Riva del Garda
incontrando e battendo gli austriaci del generale
Kuhn
nella
battaglia di Bezzecca
il 21 luglio
[70]
.
Due giorni prima, Cialdini, visto l'ostruzionismo di La Marmora al riguardo, aveva inviato da
Bassano
verso
Trento
una divisione comandata dall'ex garibaldino
Giacomo Medici
, nonche 3 divisioni verso
Trieste
al comando di
Raffaele Cadorna
. Medici, il 22 luglio occupo combattendo
Primolano
, il 23 arrivo a
Borgo Valsugana
e dopo una
vittoriosa battaglia
si spinse il 24 fino a
Levico
, per giungere poi il 27 presso
Civezzano
, a ridosso di Trento. Kuhn, in grave difficolta, scrisse che non gli era piu possibile resistere ai due avversari (Garibaldi e Medici) e che intendeva ritirarsi. Garibaldi, dal canto suo, continuava ad avanzare oltre Lardaro e Riva del Garda, mentre Cialdini proseguiva su
Treviso
e
Ponte di Piave
preceduto da Cadorna, fino a
Palmanova
, oltre la quale un'avanguardia italiana si scontro con un'avanguardia austriaca, battendola, il 24 luglio
[71]
.
Il 26 luglio nella
battaglia di Versa
, le forze italiane di bersaglieri e cavalleria sconfissero gli austriaci a guardia dell'attraversamento del fiume
Torre
e raggiunsero l'attuale
Romans d'Isonzo
entrando vittoriosamente a
Versa
, in provincia di Gorizia
[72]
[73]
. Cio segno la massima avanzata italiana in Friuli.
Tuttavia, con la cessazione delle ostilita austro-prussiane, gli austriaci sembravano pronti a inviare rinforzi in Italia. Allo stesso modo, il
Principato del Liechtenstein
, alleato meridionale dell'Austria, aveva inviato un'unita di ottanta uomini nella regione a ovest del
Passo dello Stelvio
, che non ebbe nessun contatto con il nemico e ritorno a casa senza perdite dopo sei settimane
[74]
. Il 9 agosto Garibaldi ricevette l'ordine dal Comando Supremo dell'Esercito di evacuare il Trentino. La sua risposta, divenuta famosa, fu semplicemente "
Obbedisco
".
Furono queste le ultime operazioni belliche perche intanto, il 20 luglio, la flotta italiana veniva sconfitta da quella austriaca a
Lissa
e il governo accettava la proposta austriaca di armistizio.
La flotta italiana entro in guerra nel momento in cui la fusione degli elementi piemontesi e napoletani dell'ex
Regno delle Due Sicilie
non era ancora compiuta. Sussisteva, quindi, un'incertezza nelle dottrine di guerra, uno scarso spirito di corpo e la sfiducia verso il comandante in capo, l'ammiraglio Persano
[75]
.
Il 14 luglio 1866 giunse a quest'ultimo dal governo italiano l'intimazione di agire, pena la destituzione. L'ammiraglio decise allora, contro il proprio parere, di agire contro l'isola austriaca fortificata di
Lissa
, cosi come consigliatogli dal governo. Cio avrebbe costretto la flotta austriaca comandata da
Tegetthoff
ad uscire dalla base di Pola ed esporsi in battaglia. Ma il coordinamento dell'azione italiana manco del tutto: invece che di notte, la flotta arrivo in vista dell'isola la mattina del 18 luglio e il cavo marittimo telegrafico con
Pola
fu tagliato dopo che gli austriaci avevano dato l'allarme. La squadra italiana dell'ammiraglio
Vacca
dopo pochi colpi d'artiglieria interruppe il bombardamento sul porto isolano di Comica e, senza autorizzazione, si uni a quella dell'ammiraglio
Albini
davanti a Porto Manego. Qui l'Albini, constatato che le sue artiglierie non potevano colpire le batterie nemiche troppo elevate, desistette dall'agire. Le due squadre si congiunsero, quindi, a quella comandata direttamente da Persano davanti a Porto San Giorgio. Il comandante della flotta decise che non era ancora venuto il momento di sbarcare le truppe e redargui i due ammiragli per la condotta tenuta. Anche il giorno dopo trascorse senza avvenimenti bellici importanti
[76]
.
Nonostante l'obiettivo principale italiano fosse quello di spingere la flotta austriaca alla battaglia, piu che conquistare Lissa, l'ammiraglio Persano aveva lasciato le sue navi intorno all'isola; cosicche, quando fu segnalata al mattino del 20 luglio la flotta nemica, fatico non poco a riunirle con il mare in burrasca. Ordino tuttavia che le sue navi corazzate si ponessero in fila presentando la prua al nemico avanzante; e alle navi di legno di Albini ordino di formare a distanza una seconda linea. L'ammiraglio austriaco Tegetthoff procedeva invece con le navi disposte a cuneo: avanti le 7 unita corazzate, dietro, da un lato, le navi protette e dall'altro le navi minori. Le unita italiane si stavano ancora ordinando, quando Persano fece fermare l'ammiraglia
Re d'Italia
per passare con il suo stato maggiore sulla piu moderna
Affondatore
. Ordino inoltre alle navi di passare dalla linea di fronte al nemico, alla linea di fianco, in modo da colpire le unita austriache con le batterie della fiancata sinistra. Cio porto confusione e accrebbe la distanza fra le navi
[78]
.
Alle 11 la flotta austriaca, compatta e ben poco danneggiata dalle bordate italiane, penetrava dentro la prima linea nemica. Di fatto, contro la flotta austriaca riunita si trovarono a combattere solo le navi al centro della prima linea italiana: la
Re d'Italia
, colpita al timone, rimase immobilizzata e fu speronata e affondata dalla nave ammiraglia austriaca
Erzherzog Ferdinand Max
; la cannoniera corazzata
Palestro
, attaccata isolatamente da 2 unita corazzate e da una fregata nemiche, sfuggi 5 volte al tentativo di speronamento, ma alla fine un grave incendio provocato dai proiettili nemici raggiunse le munizioni portando all'affondamento della nave con il suo comandante
Alfredo Cappellini
. La
Re di Portogallo
riusci a danneggiare il vascello a due ponti
Kaiser
che non pote essere speronato dall’
Affondatore
il cui timoniere ricevette ordini contraddittori. Persano allora tento di richiamare la seconda squadra dell'ammiraglio Albini, che si teneva fuori tiro, ma inutilmente
[78]
.
Verso le 12,00, l'ammiraglio Tegetthoff, si allontano verso l'
isola di Lesina
soddisfatto del risultato conseguito. Persano tento di inseguirlo e di riprendere la battaglia, senza riuscirci
[78]
. A guerra terminata, il 15 aprile 1867, l'ammiraglio Persano dopo un lungo processo, scagionato dalle accuse di alto tradimento e vilta di fronte al nemico, fu ritenuto colpevole dei reati di negligenza, imperizia e disubbidienza, per i quali venne condannato alle dimissioni forzate, alla perdita dei gradi e alle spese di giudizio. Successivamente la corte dei conti lo privera anche della pensione
[79]
.
Nel frattempo, dopo la
battaglia di Sadowa
,
Bismarck
aveva acconsentito sia ad una mediazione francese che all'armistizio con l'Austria. Egli pose pero alcune condizioni: riforma della
Confederazione germanica
con l'esclusione dell'Austria dagli affari tedeschi e controllo prussiano dei territori tedeschi a nord del fiume
Meno
. Da parte sua, il
governo Ricasoli
subordino la tregua alla consegna della fortezza di
Verona
a mo' di pegno, alla cessione del
Veneto
direttamente dall'Austria (senza il passaggio alla Francia) e al riconoscimento della frontiera naturale (cioe alla cessione anche di
Trento
e
Bolzano
). Bismarck si disse d'accordo
[81]
.
Napoleone III, dopo aver esaminato le proposte prussiane, formulo una contro-proposta che sottopose alla Prussia e all'Austria: essa corrispondeva approssimativamente alle richieste di Bismarck. In piu proponeva la facolta per gli stati tedeschi a sud del Meno di creare una loro confederazione e l'integrita dell'Impero austriaco, tolto il Veneto
[82]
. Il piano francese fu accettato da Vienna e da Berlino e il 21 luglio si giunse ad una tregua di 5 giorni a partire dal mezzogiorno del 22 luglio.
Visconti Venosta
, avvisato dalla Francia della tregua, cerco di guadagnare qualche giorno nella speranza di una vittoria militare, ma il 22 giunse la notizia della
sconfitta di Lissa
, rendendo la tregua inevitabile anche per l'Italia, che vi aderi il giorno dopo, con decorrenza dalla mattina del 25
[83]
.
Il ministro degli Esteri Visconti Venosta diede tuttavia istruzioni all'ambasciatore a Berlino Giulio De Barral (1815-1880) che, per quanto concerneva l'imminente armistizio, doveva insistere e porre le seguenti condizioni: cessione del Veneto senza alcuna condizione e frontiera lungo la linea Trento-Bolzano. Sul primo punto Bismarck si dichiaro d'accordo, mentre riguardo al Tirolo, che comprendeva il Trentino, oppose un netto rifiuto. Egli sostenne che aveva accettato il piano di Napoleone III che garantiva l'integrita dell'Impero austriaco. Oltre la Prussia e la Francia, anche la Gran Bretagna si dimostro scettica sul diritto accampato dagli italiani su quel territorio. Visconti Venosta rinvio allora ogni decisione sull'armistizio, nella speranza che una vittoria militare gli desse maggiore capacita di contrattazione. Tuttavia il tempo era limitato, poiche il 26 luglio Austria e Prussia siglarono l'armistizio ed i preliminari di pace. Il 29, quindi, per non rimanere a combattere da sola contro l'Austria, l'Italia aderi formalmente all'armistizio, ma senza firmarlo
[84]
.
Di questa situazione si giovarono gli austriaci, che posero al governo italiano come condizione per la firma dell'armistizio l'evacuazione delle zone del Trentino occupate dalle sue truppe. Percio il 6 agosto 1866 Vittorio Emanuele II telegrafo al presidente del Consiglio
Ricasoli
che, nella impossibilita di riprendere (da soli) la guerra, bisognava disimpegnarsi dal Tirolo. Ricasoli rispose che ritirarsi avrebbe prodotto un effetto doloroso sull'opinione pubblica. Contemporaneamente i rappresentanti italiani a Berlino e Parigi cercarono in tutti i modi, ma senza successo, di spingere quei governi a persuadere l'Austria ad accettare l'armistizio sulla base dell’
uti possidetis
, cioe sulla base di quanto l'Italia aveva conquistato militarmente. Il 9 agosto, constatato l'isolamento in cui l'aveva posto l'iniziativa austriaca, il governo italiano disponeva il ritiro delle truppe dal Trentino
[86]
.
Lo stesso 9 agosto, alle 6, il generale La Marmora telegrafava a Garibaldi:
≪Considerazioni politiche esigono imperiosamente la conclusione dell'armistizio, per il quale si richiede che tutte le nostre forze si ritirino dal Tirolo. D'ordine del Re, ella disporra quindi in modo, che per le ore 4 antimeridiane di posdomani 11 agosto, le truppe da lei dipendenti abbiano ripassato le frontiere del Tirolo. Il generale Medici ha da parte sua cominciato il movimento. Voglia accusarmi ricevuta del presente dispaccio.≫
La risposta di Garibaldi da
Bezzecca
di poche ore dopo (10,15) fu essenziale:
≪Ho ricevuto il dispaccio N. 1073. Obbedisco.≫
Dopo lo sgombero del Trentino si giunse alle trattative per l'armistizio. Superate alcune ultime difficolta, esso fu stipulato il giorno 11 agosto 1866 e firmato il giorno dopo a
Cormons
dal generale
Petitti
per l'Italia e dal generale
Karl Moring
[88]
per l'Austria. L'armistizio, della durata di 4 settimane, venne accettato da ambo le parti alle seguenti condizioni da trattare in un secondo momento: riunione del Veneto all'Italia, plebiscito delle popolazioni, riserva di trattare nei negoziati di pace la questione dei
confini
[89]
[90]
.
Napoleone III si apprestava intanto a negoziare con l'Austria una convenzione per la cessione del Veneto alla Francia, che si preannunciava a dir poco imbarazzante per l'Italia. Offensiva appariva soprattutto la proposta di trasmettere la sovranita dei territori veneti a dei commissari francesi. L'ambasciatore italiano a Parigi
Costantino Nigra
e il generale
Luigi Menabrea
, nominato plenipotenziario per la pace con l'Austria, insistettero con il ministro degli Esteri francese
Drouyn de Lhuys
affinche nella convenzione franco-austriaca non fossero nominati tali commissari, ma il ministro francese, molto vicino a Vienna, non ne volle sapere di cancellare la clausola
[91]
.
La convenzione franco-austriaca per la cessione del Veneto a Napoleone III fu siglata il 24 agosto 1866. Essa prevedeva che la cessione fosse fatta da un commissario austriaco nelle mani di un suo omologo francese. Questi in seguito si sarebbe accordato con le autorita italiane per trasmettere a loro i diritti di possesso. Successivamente la popolazione del Veneto sarebbe stata chiamata ad esprimersi tramite un plebiscito per confermare il passaggio all'Italia della loro regione. Il presidente del Consiglio Ricasoli si espresse contro tutto cio: ritenne ingiuriosa la presenza di un commissario francese nel Veneto e un atto ridicolo il plebiscito. Ma Napoleone III teneva molto alla cessione del Veneto nelle sue mani, il solo vantaggio che aveva tratto da questa lunga mediazione effettuata allo scopo di recuperare la sua calante popolarita
[92]
.
A Vienna, intanto, Menabrea, superate le ultime resistenze di Ricasoli, riprese le trattative con l'Austria e il 3 ottobre 1866 annuncio al ministro Visconti Venosta che il trattato di pace era stato firmato. Esso comprendeva un preambolo, 24 articoli, 3 protocolli e alcune note annesse. Il preambolo sanciva l'unione del Veneto al Regno d'Italia, secondo gli accordi presi fra quest'ultimo, la Francia e l'Austria, e riconosceva che la volonta delle popolazioni venete, espressa con il plebiscito, fornisse il titolo giuridico del loro congiungimento all'Italia
[93]
. Quanto ai confini, Menabrea si trovo contro il partito militare austriaco capitanato dall'
arciduca Alberto
, cio che gli impedi di ottenere frontiere diverse da quelle fissate nel 1815 tra Austria e Lombardo-Veneto
[94]
. La rinuncia a quest'ultimo possedimento da parte dell'Austria e la consegna della
Corona ferrea
all'Italia, simbolo della sovranita sulla penisola, furono oggetto di altrettante note allegate al trattato di pace
[95]
.
La cessione del Veneto dalla Francia all'Italia del 19 ottobre 1866 avvenne in una stanza dell'hotel
Europa
sul
Canal Grande
, dove il generale
Le Bœuf
(plenipotenziario francese e garante dello svolgimento della consultazione) firmo la cessione del Veneto all'Italia. La
Gazzetta di Venezia
il giorno successivo ne diede notizia in pochissime righe: ≪Questa mattina in una camera dell'albergo Europa si e fatta la cessione del Veneto≫
[96]
.
Nel
plebiscito
(a suffragio universale maschile), svoltosi il 21 e 22 ottobre, la maggioranza dei votanti si espresse a favore dell'annessione e con l'ingresso a Venezia, il 7 novembre, di Vittorio Emanuele II, si concluse anche la fase politica della terza guerra di indipendenza
[97]
.
- ^
a
b
Pieri
, p. 749
.
- ^
a
b
Pieri
, pp. 748-749
.
- ^
Ritratto di
Tranquillo Cremona
.
- ^
Giordano
, pp. 20, 23
.
- ^
Giordano
, pp. 24-29
.
- ^
Giordano
, pp. 31-32
.
- ^
Giordano
, pp. 33-36
.
- ^
Giordano
, pp. 50-52
.
- ^
Giordano
, pp. 52-54
.
- ^
La cartina riporta la situazione politica al 1858, per cui l'Italia settentrionale vede ancora la Lombardia nei confini austriaci.
- ^
Giordano
, pp. 55-56
.
- ^
Giordano
, p. 60
.
- ^
Giordano
, p. 60, 64-65
.
- ^
Giordano
, p. 66
.
- ^
Giordano
, pp. 67-68
.
- ^
Pieri
, pp. 745-748
.
- ^
Pieri
, p. 748
.
- ^
Pieri
, pp. 750-751
.
- ^
Pieri
, p. 751
.
- ^
Giglio
, pp. 316-317
.
- ^
Da non confondersi con il generale
Antonio Franzini
(1788-1860).
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Giglio
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Ugo Zaniboni Ferino
,
Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda
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Ugo Zaniboni Ferino,
Bezzecca 1866. La campagna garibaldina dall'Adda al Garda
, Trento 1966.
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Giglio
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il 13 marzo 2012)
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Archiviato
il 26 giugno 2013 in
Internet Archive
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, Associazione Amici dell'Accademia dei Lincei, Roma, 2011
- ^
La dichiarazione fu materialmente consegnata dal colonnello dello stato maggiore italiano
Pompeo Bariola
(in seguito senatore), il quale intorno alle 8 antimeridiane del giorno 20 la affido agli avamposti austriaci presso
Mantova
; da qui il documento fu inviato al quartier generale austriaco di Verona dove pervenne circa 5 ore dopo. L'arciduca non trasmise alcuna risposta. Si veda in proposito
Alberto Pollio
,
Custoza (1866)
, Torino, 1903.
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Pieri
, pp. 751-752
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Comandini
, p. 829
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, pp. 752-753
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Pieri
, p. 753 e cartina fra p. 754 e p. 755
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Pieri
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, pp. 178-179 (cartina), 368
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Pieri
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Gioannini e Massobrio
, pp. 178-179 (cartina), 369
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Dipinto di Juliusz Kossak (1824-1899).
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Dipinto di Fritz Neumann (1881-1919).
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, p. 761
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Alcune erano poco protette, altre montavano un apparato motore scadente, e altre erano poco veloci e poco armate.
- ^
Martino 2011a
, pp. 7-8
.
- ^
Martino 2011a
, p. 6
.
- ^
Le
pirofregate
corazzate
Re d'Italia
,
Principe di Carignano
,
San Martino
,
Regina Maria Pia
, la
cannoniera
corazzata
Palestro
, la pirofregata ad
elica
Gaeta
e l'
avviso
Messaggiere
si trovavano a Taranto. Vedi
1866: Quel brutto pasticcio di Lissa.
, mentre le pirocorvette corazzate
Formidabile
e
Terribile
(concepite come batterie galleggianti per il tiro contro postazioni costiere e poi nonostante la loro scarsa velocita convertite in unita da battaglia), la pirocorvetta a ruote
Ettore Fieramosca
e la cannoniera ad elica
Confienza
erano di stanza ad Ancona. Altre unita si trovavano in varie basi italiane, e alcune unita corazzate erano appena state consegnate dai cantieri di costruzione. A Taranto vi era solo una ridotta quantita di carbone, mentre ad Ancona ve ne era una scorta molto piu consistente.
- ^
Martino 2011a
, pp. 8-9
.
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Martino 2011a
, p. 9
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Le armi di San Marco
, Roma, Societa Italiana di Storia Militare - atti del convegno del 2011, 2012.
pag. 255
- ^
L'ammiraglio
Angelo Iachino
confermava: ≪Le condizioni della flotta austriaca non erano dunque migliori di quelle della flotta italiana... a suo vantaggio la Marina austriaca aveva la perfetta omogeneita di costruzioni ed installazioni interne delle sue navi, nonche la semplificazione in un unico dipartimento marittimo che armava ed allestiva le navi... ≫. Vedi Angelo Iachino
La campagna navale di Lissa 1866
, Mondadori, 1966 - ripreso da
Le armi di San Marco
.
- ^
Martino 2011a
, p. 11
.
- ^
Martino 2011a
, p. 12
.
- ^
Le unita corazzate
Castelfidardo
,
Regina Maria Pia
,
Re d'Italia
,
Re di Portogallo
,
Principe di Carignano
,
San Martino
e
Varese
ricevettero rispettivamente 20, 16, 12, 12, 8, 8 e 4 cannoni. Solo quattro bocche da fuoco (consegnate a
Castelfidardo
e
Varese
) provenivano dai depositi di Napoli, le rimanenti erano prelevate da altre unita: la
Principe di Carignano
ricevette 16 cannoni da
Formidabile
e
Terribile
(otto da ciascuna unita), mentre la
San Martino
, avendo solo otto pezzi rigati da 160 mm, li ricevette dalla pirofregata
Duca di Genova
. Vedi
Greene, Massignani
, pp. 211-240
.
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Martino 2011a
, p. 14
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, pp. 763-764
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In seguito al trattato di Vienna tale territorio ritorno sotto il dominio imperiale
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Nel 1866 Versa ritorno italiana ma per soli 15 giorni
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a volte scritto
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